La Vocazione Sacerdotale Di San Vincenzo De Paoli

Francisco Javier Fernández ChentoVincenzo de' PaoliLeave a Comment

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Author: Luigi Coluccia, C.M. · Year of first publication: 1982 · Source: Vincentiana.
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Vocazione sacerdotale o dignitá della vocazione sacerdotale? L’epoca berulliana non lascia dubbi a riguardo: sviluppava una dot­trina del sacerdozio che accentuava la sovraeminenza di questa vo­cazione, rispetto a tutte le altre, inclusa la stessa vocazione religiosa. Questa appunto non appariva piú perfetta di quella sacedotale. E Pietro di Bérulle, maestro della Scuola Francese, dominava con il suo pensiero il movimento di riforma e di rinnovamento della vita sacedotale della prima metá del sec. XVII. Non si trattava semplice­mente di restituire il prestigio religioso, morale e culturale al prete nella societá, ma si tendeva a elevare il prete a un livello sovrumano, secondo la concezione dionisiana.

Negli anni della sua prima formazione (1581-1597), Vincenzo de’ Paoli é completamente estraneo a questa problematica di scuola e a queste dotte discussioni sulla teologia del sacerdozio, com’era conce­pita dallo Pseudo-Dionigi e com’era divulgata dal Bérulle (1575­-1629). Egli é parso veramente, dapprima, un uomo di «piccola peri­feria».

«Spero tanto nella grazia di Dio — scrive alta madre il 7 febbraio 1610 — che egli benedirá la mia fatica e mi dará presto il modo di ritirarmi onorata­mente e passare il resto dei miei giorni con voi».

Prete onesto, puro e profondo

Tutto avviene in fretta in quest anni: la sua ordinazione sacerdo­tale (1600), la nomina a parroco di Tilh — di cui peró non prende possesso, per un improvviso viaggio a Roma. É preso da varíe atti­vitá, dagli studi di teologia, dai viaggi, dagli affari e dai soldi. “Que­sto Vincenzo di vent’anni é abile: ma sará proprio l’abilitá che gli servirá, guando dovrá difendere la sua opera contro tutti i pericoli. É astuto: ma anche l’astuzia pub essere santa… E attivo, inquieto, ambizioso; ma nessuno ha la­vorato quanto lui né portato a termine con maggiore acume delle imprese che su­peravano la forza comune.’.. Vincenzo fu questo prete pieno di iniziative, rivol­to alle scoperte del suo secolo; prete onesto, puro, profondamente attaccato al suo ministero».

Egli é cosciente di essere preso, in questi anni, «nei fili della ragnatela»; ma ne sa uscire, a piccoli passi, gradualmente. A conside­rare la santitá di Vincenzo, ci si convince in maniera molto chiara che é cosí graduale ogni impegno di santificazione. La sua paura é stata di fare, scavalcando la Provvidenza: le cose di Dio invece si fanno nella calma, bisogna lasciar fare a Dio, é lui che conduce men­tre noi non siamo che semplici strumenti.

Grandi maestri

Il secondo periodo della formazione sacerdotale vincenziana é ric­co di insegnamenti. Vincenzo é vicino a vari maestri: Benedetto de Canfeld (1562-1619), Andrea Duval (1564-1638), Francesco di Sa­les (1567-1622), Pietro di Bérulle. Specialmente quest’ultimo influi­sce sull’animo di Vincenzo, che si trova in uno stato di ricerca e de­finizione del suo sacerdozio. Bérulle diventa il direttore spirituale, e in primo tempo presterit all’umile prete delle Lande consigli e cure di grandissima utilitá. Il grande Cardinale del rinnovamento sacer­dotale esercita su Vincenzo un fascino straordinario, meno per la sua dottrina forse che per l’ansia pastorale che lo ispira. La loro col­laborazione duró fino al 1617: come sacerdote Vincenzo ebbe dal Bérulle alcune felici occasioni per rivelarsi, ma anche per decidersi definitivamente.

Una vita per i poveri

Il 1617 segna «l’atto di consacrazione» di Vincenzo ai poveri. E mentre prima egli si era appassionato a un’opera immediata di rin­novamento del clero, accanto a Bérulle, ora lascia tutto per dedicarsi ai poveri, alle organizzazioni della caritá. Tra il 1618-19 si incontra — forse pió di una volta — con Francesco di Sales. II suo spirito si arricchisce di una esperienza nuova: l’amore effettivo, I’estasi delle opere, il dono totale della propria vita a Dio e al prossimo. Questo processo di vera umanizzazione porta Vincenzo sulla via di tutte le miserie umane per redimerle. Anche come parroco, egli non ha mai tralasciato di predicare le missioni in mezzo ai poveri campagnoli, e soprattutto sulle galere.

Fonda le grandi opere: la Congregazione della Missione (1625) e la Compagnia delle Figlie della Caritá (1633).

L’esperienza interrotta con Bérulle non é stata un male.

Nel 1633 Vincenzo ha superato di poco i cinquant’anni: 1 vera- mente l’uomo di Dio, con una esperienza pastorale matura, con una feconditá spirituale prodigiosa, con una sua dottrina fondata sul vangelo e sulla vita. La sua vocazione sacerdotale, ora, ha raggiunto non solo maggiore evidenza ma é diventata fondamento di una vera e benefica riforma, tra gli ecclesiastici.

Giovanissimo, egli ha avvertito le carenze della formazione eccle­siastica dell’epoca; ma non era ancora la sua ora.

Poi, guando é giunto il suo momento, ha pensato ai poveri, perché ha ritenuto tale opera degna e importante, perché é stata l’opera che ha svolto il Figlio di Dio sulla terra. II servizio dei poveri rappresen­ta per lui l’opera delle opere, l’arte delle arti: é l’opera stessa di Ge­sú Cristo, é il vangelo effettivo — oggi diciamo: rendere contempo­raneo il vangelo.

Che cosa fu il sacerdozio per Vincenzo

La liturgia nel presentare la memoria di questo uomo di Dio, dice semplicemente: «San Vincenzo de’ Paoli, sacerdote». É tutto qui il suo riconoscimento, il suo elogio. Perció uno studio sulla vocazione sacerdotale di Vincenzo si presenta estremamente benefico e attua­le, mentre qui il nostro proposito é solo di indicarne l’urgenza, con pochi dati, secondo il limite di queste pagine.

Vincenzo, accanto ai poveri, fa maturare il suo sacerdozio. Le condizioni del tempo, la sensibilitá di Bérulle, l’umanitá di France­sco di Sales, gli esempi di alcuni vescovi suoi contemporanei — Alain de Solminihac, per ricordarne uno — fanno ridestare in lui una immensa cura e preoccupazione pastorale, che si rivela anche come servizio reso al clero. Pare abbastanza esatto pensare che una comprensione della vocazione sacerdotale di Vincenzo la si puó co­gliere non all’inizio, ma quasi alla fine di questa sua vita complessa, di uomo e di pastore.

Egli si é dato interamente per la santificazione della Chiesa; la creazione dei seminari fu, si puó dire, la preoccupazione principale della Compagnia dei Preti della Missione. Scuole di catechisti — nota Siiri Juva — ci sono state dai tempi antichi nella Chiesa: San Agostino si formó in seminario; il Medioevo ebbe scuole per la for­mazione del clero, ma in Francia si erano estinte e da parecchio tem­po non esistevano piú seminari. Nelle Universitá si badava piú alla scienza che alla virtú. Per il piccolo clero non c’era niente. L’idea di rinascita, lanciata da Trento, stava nell’aria.

La ripresa dei Seminari

Due nomi vengono messi insieme, nella fase di ripresa dei semi­nari, Gian Giacomo Olier e Vincenzo de’ Paoli. E nel 1642 che si fissano gli inizi in Francia: Olier a Vaugirard e Vincenzo ai Bons­Enfants — anche se l’idea e i primi esperimenti di Vincenzo si nota- no giit nel 1636. Alcuni vescovi in Francia avevano provato sia nel 1633 sia nel 1638.

I Lazzaristi — cioé i preti della Missione — furono richiesti do- yunque per la direzione dei seminari: il Regno — come dice Vin­cenzo stesso — era infiammato da questo zelo. A questa bella testi­monianza si aggiungeva a conquistare Parigi la predicazione appas­sionata di Olier, la fondazione dei suoi seminari.

Scrive René Coste:

«In Francia i seminari presero slancio a partire dal secolo XVII, sotto la spinta di due uomini audaci, Vincenzo de’ Paoli e JJ. Olier…

Grazie all’istituzione dei seminari, il livello medio spirituale e intellettuale del clero diocesano si elevó considerevolmente».

I primi seminari in Italia, dopo Trento,: 1564 Larino e Rieti, Ca­merino, Montelpulciano e Milano; 1565 Roma (1 febbraio); 1566 Orvieto, Cremona, Pavia, Parma, Modena; 1567 Imola, Verona, Ravenna, Benevento, Bergamo e Spoleto; 1568 Brescia, Bologna e Rimini; 1570 Cesena; 1571 Padova, Giaveno; 1575 Torino; 1576 Faenza; 1584 Ferrara.

Per il tipo di esperienza che ne aveva fatto in Francia, Vincenzo necessariamente dovette applicarsi alla riforma del clero — rimasta incompleta dopo Bérulle. Preti ce n’erano anche molti nella sua epo­ca, ma la qualitá era scarsa.Inventó le conferenze del Martedi (la prima si tenne il 19 luglio 1633) per i sacerdoti di Parigi. E pensó anche ad altri mezzi: ritiri, missioni, seminari. Una cosa oggi ci sor­prende, ma a Vincenzo parve naturale, é questa: egli favor) i semi­nari maggiori ma non acettó di aprire seminari minori. Egli, che per tante cose si é dimostrato indipendente, lo é soprattutto in questa questione. II Deffrennes chiama Vincenzo «uno dei grandi indipendenti della sua epoca».

Al servizio del clero secolare

Il suo scopo é stato di formare il clero secolare all’esercizio delle virtú del prOprio stato, dare i mezzi della santificazione, lanciare sulle vie dell’apostolato diretto e dell’assistenza.

E Vincenzo nel 1658 comunicava la sua pena: «Si dubita se tutti i disordini che vediamo nel mondo non debbano essere attribuiti ai preti.   Ció po­irá scandalizzare alcuni… Ma i peggiori nemici della Chiesa sono i preti».

Impressiona piuttosto questa mentalitá che si rifaceva a Bérulle: prete diocesano é piú perfetto del religioso.

E si spiega perché Bérulle creando l’Oratorio, non voleva che i suoi emettessero i voti canonici, ma facevano solamente il voto di obbe­dienza ai vescovi.

Per Vincenzo, il prete dev’essere piú perfetto del religioso, e il ve­scovo piú perfetto e del prete e del religioso. Egli raccomanda che i preti aderiscano alla vita concreta, abbiano molto buon senso, e ri­flettano sulla dimensione salvifica dell’Incarnazione e del Sacerdo­zio.

Gli stati del Verbo Incarnato sono visti da lui in funzione della mis­sione redentrice, che é la missione storica dell’Uomo-Dio. I sacerdo­ti sono strumenti di Gesú Cristo per continuare la sua opera, sono uomini del vangelo e della esperienza.

Due epoche uguali e diverse

Dopo tutto, questa breve ricerca é benefica se lascia aperti certi problemi, in cui siamo oggi. La vocazione sacerdotale in Vincenzo de’ Paoli aiuta a considerare la nostra epoca, uguale e diversa nello stesso tempo, a confronto della sua: il problema vocazionale é pere> il piú assillante, perché le vocazioni sembrano finire senza rinnovarsi o crescere, nella comunitá cristiana in cui viviamo. E asnillo mon­diale, quasi. Abbiamo questa preghiera di Vincenzo: «O Signore, da­teci lo spirito del rostro sacerdozio, come lo avevano gli apostoli e i primi preti che vi seguirono; dateci il yero spirito di quel sacro carattere che metteste in po­veri pescatori, poveri operai e povera gente di quel tempo, ai quali comunicaste quel grande e divino spiritou.

E ci pare opportuno accostarla a una testimonianza moderna, che indica molto bene il mistero di redenzione in cui i preti silenziosa­mente vivono:

«Le anime ci assediano. La nostra presenza é Pena per ciascuno. Senza fami­glia, siamo nell’intimo di morte famiglie. Stanchi force, dobbiamo consolare la vecchietta che piange per la noia di vivere. La grazia che é per tutti passa per noi, dividendoci e distribuendoci senza consumarci. Gli uomini se ne vanno da noi con qualcosa di nostra e ci dimenticano: come gli agnelli lasciamo la nostra lana a tutti i rovi».

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