C’è molto da dire sulla relazione di Vincenzo de Paoli con le donne. Tra gli amici e i collaboratori più stretti vi erano due donne sante, Giovanna Francesca di Chantal e Luisa di Marillac. Altre donne svolsero un ruolo molto significativo nella sua vita e lui nella loro: dalla giovane contadina analfabeta, Margherita Naseau, alla Regina di Francia, Anna d’Austria.
Alcuni hanno anche suggerito, a titolo di ipotesi di lavoro, che nel suo ruolo di leader, San Vincenzo era riuscito a stabilire rapporti migliori e a svolgere un’influenza più significativa sulle donne che non sugli uomini1. Mentre questa ipotesi sembra difficile da sostenere, data la formidabile schiera di amici e consiglieri che San Vincenzo aveva tra gli uomini, sicuramente ebbe un impressionante numero di ammiratori e collaboratori tra le donne: Madame de Gondi, Giovanna Francesca di Chantal, Luisa di Marillac, Madame Goussault, Madame du Fay, Anna d’Austria, Maria di Gonzaga, tanto per citarne alcune.
Sarebbe un errore affermare che le sue relazioni con queste donne fosse “solo per affari”. Era con loro in relazione cordiale e affettuosa, senza, per dirla con le sue stesse parole, “il minimo sospetto di impudicizia” (RC IV, 1).
Le sue lettere contengono alcuni bei passaggi pieni di calore umano. Nell’ottobre 1627 dice a Luisa di Marillac: “Vi scrivo che è mezzanotte e sono alquanto stanco. Perdonate il mio cuore se non è un po’ più espansivo in questa lettera. Siate fedele al vostro fedele innamorato che è Nostro Signore. Siate anche molto semplice ed umile. E io sar” nell’amore di Nostro Signore e della sua santa madre…” (SV I, 30). A Capodanno del 1638, conclude la sua lettera alla stessa: “Desidero per voi un cuore giovane ed un amore nel suo primo sbocciare per colui che ci ama sempre e così teneramente come se stesse appena innamorandosi di noi. Poiché tutte le gioie di Dio sono sempre nuove e piene di varietà, anche se lui è immutabile. Sono nel suo amore, con un affetto come la sua bontà desidera e che gli devo per amore a lui, Madamigella, il vostro più umile servo…” (SV I, 417-18).
A Giovanna Francesca di Chantal scrive: “E ora, mia cara Madre, permettetemi di chiedervi se la vostra incomparabile gentilezza mi concede ancora la felicità di godere il posto che mi avete dato nel vostro caro e amabilissimo cuore! Spero certamente di sì, anche se le mie miserie non mene rendono degno” (SV I, 566). In un’altra lettera alla stessa, descrive Santa Giovanna Francesca come una che è “talmente la nostra onorata Madre da essere solo mia e che io onoro e amo più teneramente che qualsiasi figlio abbia mai onorato e amato la propria madre, dopo Nostro Signore; e mi sembra che lo faccia a tal punto da avere tanta stima e amore da poterli condividere con il mondo intero; e questo, in verità, senza esagerazione” (SV II, 86-87).
Dai suoi scritti è evidente che la stima di Vincenzo per le donne era molto alta. Propendeva a pensare, per esempio, che le donne sono capaci di essere migliori amministratrici che gli uomini (cfr. SV IV, 71). Non aveva dubbi che Dio voleva che avessero un ruolo uguale nel servizio dei poveri. Nella sua famosa conferenza su “Il fine della Congregazione della Missione” del 6 dicembre 1658, afferma: “Non ha voluto il Signore che le donne entrassero nella sua compagnia? S“. Non le ha condotte alla perfezione e al servizio dei poveri? Sì. Se, dunque, Nostro Signore ha fatto questo, Lui che ha fatto tutto per la nostra istruzione, non dovremmo noi fare la stessa cosa? … Cos“ Dio viene servito ugualmente da ambo i sessi” (SV XII, 86-87).
Ma lo scopo di questa breve nota non è tanto quello di focalizzare la nostra attenzione sul modo con cui San Vincenzo si relazionava alle donne, quanto su un o dei modi con cui San Vincenzo si relazionava a Gesù. Per esprimersi in termini più semplici: Per San Vincenzo, quando Gesù viene in mezzo a noi come uomo, ha anche un volto materno.
San Vincenzo scrive a Nicola Etienne, un chierico, il 30 gennaio 1656: “Possa piacere a Dio di concedere alla Compagnia, a cui appartenete, la grazia…di avere un profondo amore per Gesù Cristo, che è nostro padre, nostra madre e nostro tutto” (SV V, 5 34).
L’anno dopo scrive a un prete della Missione, a cui era morta la madre, dicendo che ha raccomandato alle preghiere della comunità “non solo la mamma deceduta, ma anche il figlio così che il Signore stesso possa prendere il posto di suo padre e di sua madre e possa essere la sua consolazione” (SV VI, 444).
Nel 1659, alla morte della madre di Marin Baucher, un fratello della Congregazione, scrive: ” Chiedo a Nostro Signore di prendere il posto di vostro padre e vostra madre” (SV VI II, 5 5).
Il passaggio più toccante di tutti si trova in una lettera a Mathurine Guérin, scritta il 3 marzo 1660, subito dopo la morte del Signor Portail e poco prima di quella di Luisa di Marillac:
Certamente è il grande segreto della vita spirituale quello di abbandonare al Signore tutti quelli che amiamo, mentre abbandoniamo noi stessi a tutto ci˜ che egli vuole, con la perfetta fiducia che tutto andrà meglio così. E’ per questa ragione che si dice che tutto coopera al bene di coloro che servono Dio. Serviamolo, allora, sorella mia, ma serviamolo come a lui piace, permettendogli di fare come lui vuole. Sarà per noi padre e madre. Sarà la vostra consolazione e la vostra forza e alla fine la ricompensa del vostro amore (SV VIII, 256).
Due idee emergono da questi testi:
1. Vincenzo vede il volto materno di Gesù
San Vincenzo scrisse ai Missionari e alle Figlie della Carità, con la sua semplicità caratteristica, sulla paternità e maternità nella personalità umana di Gesù. Nel fare ci˜, mette in evidenza di essersi appropriato nella sua spiritualità personale di una verità basilare delle Scritture.
Il vecchio Testamento senza mezzi termini dipinge Dio come una madre. “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio del suo seno? Anche se ci fosse una donna che si dimenticasse, io invece non ti dimenticher” mai” (Is 49, 15). Yahweh si lamenta: “Per molto tempo ho taciuto, ho fatto silenzio. Ma ora grider” come una partoriente, mi affanner” e sbuffer” insieme” (Is 42, 14). Il salmista riposa in Dio con profonda fiducia: “Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia” (Sal 131, 2).
Similmente nel Nuovo Testamento, il vangelo di Luca non esita a far uso dell’immagine di una madre per descrivere il profondo dolore di Gesù riguardo all’infedeltà di Gerusalemme. Gesù si lamenta: “Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!” (Lc 13,34).
Riflettendo sulle Scritture e vedendo Gesù come una madre, San Vincenzo non fu certamente il solo tra i santi. Vengono a mente le parole di Anselmo di Canterbury:
Ma anche tu, o buon Gesù, non sei pure tu una madre?
Non sei una madre che come una gallina raduna i suoi pulcini
sotto le sue ali?…
E tu, anima mia, morta in te stessa, Corri sotto le ali di Gesù tua madre
E gli parli dei tuoi dolori sotto le sue penne. Chiedi che le tue ferite siano rimarginate
E che, confortato, tu possa ancora vivere.
Cristo, madre mia, tu raduni i tuoi pulcini sotto le tue ali;
Questo tuo pollastro, morto, si mette sotto quelle ali….
Riscalda il tuo pollo, dai vita al tuo morticino,
Giustifica il tuo peccatore.2
In questi tempi, quando, sotto l’influenza junghiana, si parla spesso dell’animus e dell’anima dentro di noi3, e quando è stato scritto in maniera considerevole sulla spiritualità al maschile e al femminile,4 è interessante notare come San Vincenzo parlasse con naturalezza di Gesù, padre e madre.
2. La visione della provvidenza in San Vincenzo ha un volto materno
Tutte le lettere che abbiamo citato sopra, nelle quali San Vincenzo descrive Gesù come madre, trattano di eventi tragici. In alcune fa esplicitamente appello al bisogno della fiducia nella provvidenza; in altre, l’appello è implicito. In ogni caso, dice fondamentalmente al suo corrispondente: Dio rivela, in Cristo, che Ti ama come un padre, ma anche come una madre – come la tua propria madre o come Luisa di Marillac, la “madre” delle Figlie della Carità.
Si preoccupa di assicurare i lettori di queste lettere che Dio li accompagna in Cristo, come una madre accompagna suo figlio, che si preoccupa del loro futuro, e che il suo amore è caldo e onnipresente.
In una conferenza data il 9 giugno 1658, dice alle Figlie della Carità: “Aver fiducia nella provvidenza significa sperare che Dio si preoccupi di coloro che lo servono, come un marito si preoccupa della propria moglie o un padre del suo bambino. Ecco come – e molto più realmente – Dio si prende cura di noi. Dobbiamo solo abbandonarci alla sua guida, come dice la Regola, proprio come “un bimbo fa con la sua nutrice”. Se lo porta sul braccio destro, il bambino è tutto contento; se lo sposta su quello di sinistra, non si preoccupa, è tutto soddisfatto purché stia sul suo seno.. Noi dovremmo avere la stessa fiducia nella divina provvidenza, vedendo come egli si prende cura di tutto ci” che ci riguarda, proprio come una mamma si prende cura del suo bambino” (SV X, 503).
Riflettendo sui testi citati in questa breve nota, si pu” intuire che il riconoscimento di san Vincenzo della paternità e della maternità in Gesù lo spingano a sviluppare in se stesso ambedue questi valori della paternità e della maternità. Come il Gesù su quale meditava, egli ebbe una piena partecipazione delle qualità normalmente associate5 con l’aspetto paterno della personalità umana (mostrando rabbia dinanzi alle ingiustizie, dimostrando una formidabile abilità organizzativa nel servizio dei poveri), ma come Gesù, anche lui mostrava un volto materno, caldo, compassionevole, provvidente verso i membri delle sue congregazioni e verso i poveri.
- Cfr.Jaime Corera, “St. Vincent and Human Formation”, Vincentian Heritage 9 (§ 1, 1988) 79.
- Cfr. The Prayers an d Meditations of Saint Anselm, (New York, Penguin, 1973), 153-56, come citato in Elisabeth Johnson, She Who Is (New York, Crossroad, 1992), 150.
- Anche se comunemente usata, l’analisi dello Jung è molto discussa oggi. Cfr. Sandra Schneiders, Beyond Patching (Mahwah, Paulist Press, 1991), 85-89; anche, John Carmody, Toward a Male Spirituality (Mystic, twenty -Third Publications, 1989) 94-108. Carmody giustamente commenta che ” non esiste nessuna formula per sistemare i sessi secondo sistematici modelli di attività” (p. 94). Finora, mi sembra, non abbiamo trovato uno strumento analitico appropriato per parlare di qualità maschili e femminili, poiché è difficile discernere ci” che in noi è “per natura” e ci” che è “appreso”. Tuttavia, quasi tutti continuano ad usare una qualche struttura concettuale per discutere questa questione. Le strutture non-scientifiche si basano in genere sulla nostra concreta esperienza delle persone che conosciamo. Per una discussione molto interessante di questo problema, cfr. E. Johson, Consider Jesus 47-57.
- In aggiunta alle opere citate nella nota precedente, cfr. anche William O’Malley, “The Grail Quest: Male Spirituality”, America, vol. 166, n. 16 (May 9,1992), 402-06; O’Malley, “A Male’s view of Female Spirituality”, Human Development, vol. 14, n. 3 (Fall 1993), 33-38; Sally Cuneen, “What if the Church is a Mother”, America, vol. 165, n. 17 (November 30, 1991), 407-10. Cfr. anche Patrick Arnold, Wildmen, Warriors, and Kings. Masculine Spirituality and Bible (New York, Crossroad, 1992).
- Come si afferma nella nota 4, uso di proposito la terminologia “qualità normalmente associate” con l’essere maschio o femmina, poiché tale attribuzione è del tutto culturalmente condizionata.