L’Idea centrale
In Spiritualitá vincenziana spiritualitá dell’azione si raccoglie il frutto di una ricerca che durava da qualche anno, relativa alla sistemazione ed elaborazione del pensiero di M. VINCENT. Vengono approfonditi non aspetti della spiritualitá vincenziana, ma la sua situazione globale, il suo mondo, per cosí dire. C’é appunto un grande sforzo di sintesi, in cui assumono uguale importanza ed esplicano la medesima funzione sia la contemplazione sia l’azione. La spiritualitá dell’azione, giá definizione della spiritualitá vincenziana, ha lo scopo di aggiungere alíe giá note sistemazioni della teologia mistica la elaborazione di una teología dell’azione — tende cioé a eliminare ogni traccia di dualismo nell’ambito della spiritualitá, avvalendosi della esperienza e dell’insegnamento di M. VINCENT, costantemente protesi alla unificazione della vita spirituale, e per meglio dire, alla sua esemplificazione. Polemiche e contrasti tra contemplazione e azione so- no sorti in epoca piuttosto recente — si potrebbe dire che é la storia della spiritualitá di questo secolo. Il secolo di M. VINCENT non conosce preoccupazione di distinguere o contrapporre, vive il primato della contemplazione, si dimostra profondamente místico.
In tale ambiente pervaso dalla esperienza di Dio, che si cerca in quanto straordinaria, fa problema un altro tipo di esperienza che pur riguardando Dío, non ha le condizioni proprie del misticismo francese. E qui si inserisce il presente studio, quale se da una parte affronta problemi molto complessi, dall’altra non dispone per qualificarsi come tale, cioé scientificamente, se non della documentata e ben nota esperienza di M. VINCENT de PAUL. Pertanto, invece di far uso della termino- logia tradizionale mistica, che potrebbe alterare la fisionomia spirituale di lui — non essergli cioé appropriata — si é ricorsi a una terminologia spirituale nuova, per esigenza di metodo. Cosi, invece di descrivere la esperienza interiore di Dio nell’uomo, si é cercato di mettere ín luce e di sistemare l’esperienza di Dio esterna e dinamica, propria dell’uomo d’azione, perché é in questo modo che M. VINCENT si presenta alla storia e alla coscienza cristiana. La sua spiritualitá é detta spiritualitá dell’azione, precisamente in quanto piú pregnante; e alío scopo di meglio tradurla, si é ricorsi a espressioni ausiliarie, quali: esperienza, situazioni, primato della volontá, amore effettivo o carita operosa, adattamento ecc…
Dio lavora in modo misterioso nelle anime. Un esame attento alla evoluzione dello spirito víncenziano fa cogliere i segni dell’azione di Dio su M. VINCENT con evidenza tale, che anche questa esperienza ordinaria di Dío ha valori parí alla esperienza mistica, o é mística essa stessa. Il suo modo di tradursi e di manifestarsi é peró molto diverso dall’esperienza mistica, cuí si era abituati. Ció comporta un insieme di risultati, che lungi dal contraddire la vita interiore, la orientarlo invece in maniera dinamica.
Ció premesso, l’idea centrale consiste nell’amore verso i poveri, cui si orienta M. VINCENT e per il quale sono compiute tutte le sue realizzazioni. I poveri sono il punto di partenza e di arrivo della esperienza vincenziana, la informano e la fondano. Qui, anche, il limite della stessa, in quanto i poveri non esauriscono pienamente la missione della chiesa, ma rappresentano un modo di attuarla, cioé una delle dimensioni essenziali della esistenza della Chiesa. M. VINCENT é uomo di Dio e amito degli uomini; il suo costante riferirsi a queste due realtá della storia, Dio e l’uomo, é pure il suo amore pratico e concreto di tendere all’unitá spirituale, alla sintesi, da introdurre in tutte le facoltá umane: intelligenza, volontá, sensibilitá, immaginazione, memoria. Se da una parte si nota il suo tentativo di ridurre la spiritualítá al semplice e al pratico — e qui egli si pone sulla scia del primo CANFELD, per quanto riguarda A primo punto della Régle de Perfection — dall’altra compie un necessario eclettismo, per cui egli non si preoccupa di ció che c’é da distinguere e separare nella vita spirituale, ma solo di ció c’é da compiere e da unificare. « Il principio della vita cristiana é l’amore verso Dio, ma l’amore verso il prossimo é l’attuazione pratica del primo, anzi l’uno e l’altro si troyano in sintesi nell’azione » (p. 17). Azione, e precisamente azione vincenziana. In un testo di AGOSTINO é espresso lo stesso concetto: « Semper omnino cogitate, diligendum esse Deum et proximum: Deum ex toto corde, ex tota anima, et ex tota mente; et proximum tamquam seipsum. Haec semper cogitanda, haec meditanda, haec retinenda, haec agenda, haec implenda sunt. Dei dilectio prior est ordine praecipiendi, proximi autem dilectio prior est ordine faciendi. Neque enim qui tibi praeciperet dilectionem istam in duobus praeceptis, prius tibi commendaret proximum et postea Deum; sed prius Deum, postea proximum. Tu autem quia Deum nondum vides, diligendo proximum promereris quem videas; diligendo proximum purgas oculum ad videndum Deum, evidenter Joanne dicente (1Jo. 4,20)… Incipe ergo diligere proximum… Diligendo proximum et curam habendo de proximo tuo, iter agis. Quo iter agis, nisi ad Dominum Deum?… Ad Dominum nondum enim pervenimus, sed proximum nobiscum habemus. Porta ergo eum cum quo ambulas; ut ad eum pervenias, cum quo manere desideras » (p. 17, n. 3).
M. VINCENT conosce bene il pensiero di AGOSTINO su questo punto (p. 93-95); insiste che bisogna amare Dio e i poveri (p. 103; cfr. 107-110). Il principio dell’amore verso Dio dev’essere provato, vissuto, attuato. Finché resta principio rischia di rimanere astrattivo e inoperante. Perció la sua forza risiede nel comandamento, per fi quale si rivela all’uomo. La precedenza spetta certamente all’autorivelazione e autodonazione di Dio, ma la risposta dell’uomo all’amore di Dio é condizionante al livello operativo: « proximi autem dilectio prior est ordine faciendi ». Egli quindi opera la sintesi della carita: Dio e i poveri sono amad con la stessa intensitá di amore, con la stessa tenerezza. E’ proprio della carita infatti tendere all’unitá, esigere l’opera e portarla a compimento.
Nel cap. 7° (p. 157-195) sono ampiamente trattati questi problemi secondo lo spirito dell’azione vincenziana. Il nucleo della tesi sta nelle p. 173-176. M. VINCENT vede Dio nell’uomo, cíoé nel povero. Qui é lo spirito nuovo del secolo XVII: nuovo, perché é l’azione che consente una esperíenza diretta dell’uomo; nuovo, perché il misticismo francese tendeva nella direzione opposta di vedere in Dio, e forse di vedere solo in Dio; nuovo, perché orienta verso un’umanizzazione piis pregnante che non l’umanesimo cristiano, e perfino devoto.
Per questa ragione, le p. 101-153 costituiscono una premessa di approfondimento teologico, dove insieme alla ricchezza della interioritá vincenziana, che é carita tanto di implicazioni esistenziali quanta di feconda passivítá e di ricerca del volere di Dio, é contrapposta la reazione che agiva tra misticismo e umanesimo. Ma « Vincenzo non é né un mistico né un umanista, ma profondamente umano » (p. 126). Ció é detto con chiaro fondamento e anche per ragione di metodo. Si é pensato cosi dí indicare almeno — se forse non é ancora possibile definire — l’originalítá di questa spiritualítá nella sua forte sintesi di immanenza e di trascendenza, di storia e di grazía, di azione e di contemplazione, di mistero e di temporalítá. Sín dalle prime pagine (p. 1-3) ció é racchiuso nel termine circolaritd: ossia, dal mistero di Dio al mistero dei poveri, e viceversa. Il vedere Dio nell’uomo (p. 174) risponde allora alla medesima circolaritá (p. 1). M. VINCENT non dá peró una formulazione logica, non elabora speculativamente i dati della sua esperienza: suggerisce ma non sviluppa, intuisce ma non sistema, richiama ma non definiste; e quel tanto che si pitó cogliere come linea di massima é la sua intenzione evangelica, la sua attenzione alle necessitá del mondo (p. 92).
«Le Fils de Dieu… s’est fait homme comme nous, afin que nous soyons non seulement sauvés, mais sauveurs comme lui » (p. 175). Tutto viene fondato sul mistero dell’Incarnaáone (p. 175-176): M. VINCENT ammira il volto umano di Dio che é Gesú Cristo, e perció estende la sua azione secondo il bisogno dei poveri, nei quali si compendia il valore di ogni uomo (p. 175). Serva a illuminare A testo seguente: « Il Dio dal volto umano, come Vincenzo preferisce presentarlo, assumendo il meglio delta dottrina della Ecole Franlaise e della Introduction á la vie dévote, non ci perde in trascendenza e in dignitá; e l’uomo ritrova in tal modo il valore della sua esistenza nella realtá del Corpo mistico. Intuizione questa che ci introduce nel cuore della spiritualitá vincenziana, che é la carita… Tramite l’esercizio della carita l’uomo é sottratto alla vana compiacenza, si fa attento a tutti i bisogni della esistenza dei poveri.
L’uomo visto da Vincenzo é un uomo bisognoso di infinita tenerezza » (1). 176, 177).
La infinita vanitá dell’uomo ríchiama la infinita ricchezza di Dio a riversarsi su di lui. Piú si é poveri e piú si é, per legge di contrasto, a livello dell’essere, correlati a Dio. Cosi nasce la legge della carita, che ripete la stessa arte di Dio nella creatura.
La sintesi vincenziana
Sí é detto sopra che lo sforzo costante di M. VINCENT consiste nel fondere insieme l’azione e la contemplazione. Di qui é nata una formula nuova, espressa nel titolo: spiritualitá dell’azione. Ma il dominio della materia vincenziana, cioé dei copiosissimi scritti, é avvenuto solo relativamente, a causa di dífficoltá che incontra chiunque voglia organizzare A pensiero vincenziano.
Le difficoltá sono tre principalmente:
1º fi pensiero vincenziano é utilitario e occasionale, privo quin- di di ogni sistematicitá;
2º. M. VINCENT assimila con vivo senso di adattamento da piú parti: il suo spirito é aperto a ogni indirizzo, ma seleziona opportunamente influssi, idee ed esperienze, sicché ne risulta un eclettismo spirituale;
3º. M. VINCENT non é tra i mistici né tra gli umanisti.
La prima difficoltá é relativa alía particolare produzione letteraria vincenziana, che si presenta come raccolta di note e di appunti, soprattutto di lettere, dove si risponde a situazioni precise, dove si susseguono intuizioni e adattamenti, dove é tradotta una esperienza ordinaria di Dio a servizio della carita e della socialitá. Per superare questa difficoltá si é cercata l’unitá interna della evoluzione spirítuale di M. VINCENT, tenendo tonto sia degli scritti sia delle realizzazioni. « Sicché la originalitá vi- vente di tale uomo d’azione va collocata secondo tre condizioni, che sono nello stesso tempo la maniera per riconoscerla: 1. – non separare mai la vita personale di Vincenzo dalle attivitá in cui si esprime; 2. – non separare mai la sua vita e la sua opera da una profonda ispirazione religiosa, per cui i dettagli, il metodo, le direttive tendono a creare un’autenticitá di rapporti con Dio e coi poveri; la sensibiliti sociale vincenziana e la stessa organizzazione per le molteplici forme di servizio e di assistenza sono funzioni e non finalitá primaria. A scegliere peyó tra queste funzioni e le estasi, l’attenzione di Vincenzo é per le prime e non per le seconde; 3. – vita opere e organizzazione devono condurre a un successo exclusivamente interiore, cioé servono a dare progressivamente l’esperienza piú pura di Dio » (p. 22).
Questa sintesi é di ordine vitale e operativo. Solo cosi sono accettabili affermazioni come queste: « L’amore di Dio, proprio perché manca di esperienza, va soggetto a illusioni; ma l’amore del prossimo é piú difficile… Tale amore non é senza l’amore di Dio, ma é piú dell’amore di Dio… L’amore verso Dio glorifica Dio, l’amore verso i poveri glorifica Dio e l’uomo » (p. 177, 178). E piú avantí: « II mistero della Incarnazione é il mistero della esperienza. Bérulle afferma che Dio creando l’uomo si é trasformato in amore. Vincenzo si spinge piú avanti: Dio si é fatto amore perché si é fatto uomo » (p. 179). Affermazioni, dicevamo, fatte da noi, ma la cui sostanza M. VINCENT ha vissuto pienamente. Il servizio dei poveri, come spesso egli ricorda alle Figlie della Carita, é importante quanto l’amore di Dio, quanto l’orazione stessa: « quitter Dieu pour Dieu » (p. 317).
E’ che M. VINCENT si impone piú per ció che richiama che per ció che egli definisce. La sua spiritualitá é come la vita in movimento.
La seconda difficoltá é piú complessa della prima, perché rínvia a tutto il milieu mystique (p. 4-50). Quale fisionomia bisogna cogliere? Il misticismo é íl fenomeno prevalente del 1600 oppure é una componente ínsieme a tante altre componenti della spiritualitá? Certo é che il misticismo francese sta a indicare una varietá di indirizzi e tendenze, e perció fa problema. Salesianismo, berullismo, giansenismo, spiritualitá della Compagnia di Gesit, scuola francescana, Carmelo, scuola italiana, misticismo reno-fiammingo, lo pseudo Dionigi, gli Istituti di vita attiva ecc… formarlo tanti nuclei. I migliori mistici del secolo XVII dimostrano una formazione eclettica. E’ detto a p. 7: « La richesse des mouvements spirituels en France au XVII siécle se laisse mal enfermer dans les cadres des écoles ou des groupes: au-de lá des écoles et avant elles, tout le siécle puise dans un héritage commun: la Bíble, Denys, la spiritualité rhéno-flamande, la tradition carmélitaine. Ainsi apparaissent des tendances, théologiques, humanistes ou psychologiques, qui dépassent les individus et par rapport auxquelles tous plus ou moins se définissent ». Infatti, in campo di spiritualitá difficilmente si troyano forme originali, semplíci e del tutto indipendenti. II successo mígliore di una spiritualitá sta nella sua sintesi. Di ogni maestro spirituale potremmo scoprire che in fondo A suo pensiero ten- de alía sintesi e che piú spesso é di tipo eclettico.
L’insegnamento di BENOIT de CANFELD ha chiare dipendenze dai mistici del nord, da DIONIGI, dal neoplatonismo e dall’agostinismo, e vi sono perfino influssi della scuola italiana. BERULLE é un discepolo di CANFELD, piú sistematico e piú teorico del suo maestro, ma le fonti di ispirazione sono comuni. FRANCESCO DI SALES dipende o é pió vicino alla scuola italiana (p. 36-39), soprattutto all’opera ascetica Il combattimento spirituale e alla dottrina di BATTISTA da CREMA (p. 40). La tendenza della spiritualitá della Compagnia di Gesó é duplice, mistica e attiva nello stesso tempo.
Si potrebbero fare altri nomi e ricordare altri gruppi, ma quanto detto serve per dare l’idea di ció che agisce in seno al misticismo francese, e anche di ció che reagisce, ma pur sempre della sua forma peculiare e insieme complessa, l’eclettismo. Forse sempre la spiritualitá cristiana sará agitata in ordine al raggiungimento della sintesi azione-contemplazione, in ordine a questa vitale composizione degli interessi di Dio e dei bisogni umani.
Un fatto indiscutibilmente interessante é la esperienza vincenziana, nella quale c’é un perfetto equilibrio tra azione e contemplazione. La carita dá forma sia alla vita di unione con Dio sia alla vita di servizío verso i poveri. E M. VINCENT cerca di adeguarsi continuamente ai bisogni dei poveri, di appropriarsene e di risolverli. E’ qui la sua autenticazione spirituale, il suo metodo e la sua praticitá (p. 30-43). « L’eclettismo dunque, comune a tanti maestri spirituali del ‘600 diviene in VINCENZO una necessita vitale… (egli) ha contribuito a ristabilire l’equilibrio tra esperienza pura di Dio e l’esperienza pratica dell’uomo, e soprattutto a valorizzare ed estendere la vita interiore attraverso l’azione » (p. 43, 45).
I tentativi di semplificazione della spiritualitá sono preziosi, ma non sempre riescono; lo sforzo di giungere a una sintesi, quale si trova in M. VINCENT, non solo convince di pió, ma é una necessitá. Fondando su tale principio la spiritualitá vincenziana, la si libera dalla generalizzazione e la si valuta nella sua attualizzazione.
E siamo alla terza difficoltá, cioé Vincenzo considerato né mistico né umanista (p. 45-47, 126-129). E’ che l’umanesimo cristiano come si presenta nel secolo XVII puó sembrare ancora astrattivo, platonico e idealizzante. 11 BREMOND per esempio preferiste l’umanesimo devoto (p. 127-128) di questo secolo, perché pió concreto, all’umanesimo cristiano, pió speculativo. M. VINCENT non puó essere annoverato tra gli umanisti, neppure tra gli umanisti devoti: egli é profondamente umano, realista, concreto; egli é per le situazioni di bisogno, egli annunzia piú una umanizzazione che un umanesimo, perché il mistero che lo ispira é la Incarnazione di Cristo, cioé l’amore pratico, effettivo, visibile di Dio verso l’uomo. Invece l’umanista secondo la coscienza cristiana del ‘600 é prevalentemente un pensatore, un teorico. Perció é giusto quanto dice M. CALVET: « C’est surtout par l’action, par la réalisation que la pensée de M. Vincent s’est manifestée » (p. 47).
Se quindi gli scritti vincenziani si qualificano come sintesi spirituale — e ora ne comprendiamo la portata — é tutta da rivedere la posizione di M. VINCENT rispetto ai mistici dell’epoca. Il suo pensiero tende al pratico. E’ l’esperienza concreta ció che conta. Data la estrema sobrietá — e quasi povertá — speculativa, Vincenzo non é un mistico confeldiano, non é neppure un místico berulliano; non é una creatura spirituale soltanto di Francesco di Sales: egli assimila da piú correnti spirituali e opera una sintesi nuova. Il gruppo dei mistici del Rambouillet ha nomi notissimi e meno noti, ma Vincenzo non c’é tra gli uni né tra gli altri. E’ che egli « si tiene sul terreno concreto, si lega alla volontá di Dio che deve essere compiuta con amore e con vera disponibilitá… Egli non é un mistico alla maniera dei mistici del secolo XVII, oppure é si un mistico ma in maniera originale: il suo amore é per i poveri e amore verso Cristo, cuí si arriva attraverso i poveri » (p. 48-49).
Intanto ci troviamo in difficoltá con A. BREMOND, secondo il quale « le plus grand de nos hommes d’oeuvres c’est le mysticisme qui nous l’a donné » (p. 50). Forse questo « Vincenzo mistico » va interpretato col metro dell’azione, force A BREMOND vuole alludere alla capacitá di sintesi operativa, di cui si é detto? « E’ che per noi la mística di Vincenzo presenta un equilibrio superiore al misticismo del secolo XVII, perché fonde meravigliosamente la contemplazione e l’azione; e l’abbiamo definita spiritualitá dell’azione » (p. 50). Tale fusione come tendenza é riscontrabile anche tra i mistici. M. Vincent ha A merito di averla attuata in modo singolare.
Le fonti e gli studi vincenziani
Il pensiero vincenziano per secoli é rimasto inesplorato. Ció costituisce una grave lacuna, anche se, attenti a un vasto materiale bibliografico, si possa dire che su M. VINCENT si é scritto e si scrive molto tuttora. Vi sono state e vi sono molte biografie, elaborate storicamente, arricchite di documenti nuovi qua e a, devote. Ma lo studio della dottrina vincenziana é rimasto passivo, o quasi insignificante. A colmare la lacuna e a orientare eventualmente le ulteriori ricerche si colloca questo lavoro, che offre una vasta informazione bibliografica oltre all’approfondimento, di cui si é detto sopra.
Si é cercato di restare fedeli alle fonti propriamente dette, cioé agli scritti vincenziani, ma anche di raccogliere una documentazione e informazione vaste, al fine di collocare pensiero vincenzíano e di rilevarne le molteplici ímplicazioni esistenziali. Nel cap. 40 si trattano le fonti e gli studi vincenziani con procedimento metodico e critico. Il normale sviluppo di questo capitolo si trova nei due seguenti, 50-60, dove é presente un maggiore impegno interpretativo. L’edizione del COSTE (19501925) é stata integrata con le edizioní aggiuntive del DODIN (p. VI-VII): anzitutto il vol. XV Paris 1970 che completa l’edizione 1920-25, poi gli Entretiens spirituels (Tours 1960). L’Opera Omnia, edizione italiana (Roma 1952), e edizione spagnola (Salamanca 1972) sono servite per la consultazione. Le varíe aggíunte seguite hanno variato la enumerazione delle lettere e del- le conferenze, ovviamente. In M. Vincent. Le grand saint du Grand Siécle del COSTE é piuttosto povera l’analyse spirituelle et intellectuelle, secondo il giudizío del COGNET.
Tra le fonti é pure redizione del PEMARTIN (1880-1891, non tanto per esattezza critica quanto per utilizzazione dei riferimenti riportati prima del 1900, in studi e biografie varíe. In tal modo abbiamo potuto dominare le citazioni che fanno fi BESSELLERE, il BOUDIGNON, tl MOTTE ecc… Tra le fonti compaiono le due Regole ovviamente e lo stesso ABELLY (p. VI-VII).
Molto varia é l’indole degli studi utilizzati: biografíe, opere di storia generale e specifica: SIIRI JUVA, COSTE, MADUIT, ORCIBAL, DAGENS, COGNET, BOGLIOLO, PRUNEL, de VEGHEL, MARTINA, MENABREA, GOSSELIN ecc… monografie, artícoli, riviste, con preferenza a DODIN, CALVET, D’AGNEL, ROUANET, Ros SETTI, DEFFRENNES, RICCARDI, IBÁÑEZ, MUNETA, HERRERA, PARDO; opere di teologia spirituale, con preferenza ad autori di grande equilibrio e chiarezza: TRUHLAR, VON BALTHASAR, BOROS, RAHNER, GARRIGOU-LAGRANGE, ROYO MARIN, DE GUIBERT, GUITTON, HUONDER, MOUROUX, MATANIC, SANSON, MARITAIN e altri; enciclopedie di spíritualitá: quella diretta da L. BOUYER (1960), quella spagnola (1969); opere di autori del secolo XVII: BERULLE, SALES, CANFELD, PASCAL, ABELLY, CARTESIO, BOSSUET ecc…
La possibilitá di ridurre a un certo sistema il frammentarío pensiero vincenziano non é preclusa; in questo lavoro si sta dando la prova che qualcosa é cominciato, pur restando fermo che « Vincenzo é stato fedele all’esperienza» (p. 51).
Contenuto e divisione
Quella di Vincenzo é una spiritualitá in piena vita e sua caratteristica sono le intuizioni, non l’indagine sistematica né la elaborazione speculativa. Pertanto la esperienza vincenziana si riassume in relazione intense con Dio nel mondo e col mondo, percepite ed espresse attraverso l’amore dei poveri, nei quali si nivela e si attua continuamente l’amore verso Dio: Evangelizare pauperibus misit me « (p. 335; cfr. 228). Gli interessi di Dio e quelli dell’uomo, o meglio, l’incontro di Dio e dell’uomo: é questa l’idea matrice vincenziana, come é stato detto. Le conseguenze che M. VINCENT tira non stanno secondo un rigore logico, ma sono informate dalla fede operosa e dalla caritá operosa. E’ opportuno dunque dare un quadro generale del contenuto della tesi che viene proposta.
Nella I’ parte, che consta di tre capitoli, si cercano le origini della spiritualitá dell’azione, rimanendo sul terreno del misticismo francese. L’affermazione piú nuova sta nel fano che M. VINCENT non é un mistico.
La giustificazíone di questo comportamento viene data nella II’ parte del lavoro, dove si riassume la importante trattazione delle fonti e degli studi vincenziani. Personalitá e pensiero di M. VINCENT, qui vengono avvicinati con deciso impegno critico e interpretativo. Il capitolo 4° per esempio é un tentativo di sistemazione e interpretazione nuova del pensiero vincenziano. Fondatore della Missione viene definito anzitutto uomo provvidenziale, valutazione suggerita dall’esame delle lettere, che nivelan un uomo profondamente compreso dei bisogni e delle attese dei poveri. Dalle conferenze vengono colti due elementi essenziali: la interioritá vincenziana e la sua forza innovatrice, fondata sull’esperienza. Di qui sono nate le due « regole ».
Queste due prime parti non sono solo preparatorie all’analisi della spiritualítá di M. VINCENT, la quale viene svolta nella III° parte, ma anche indispensabili e condizionanti ai fini della interpretazione che si é voluto dare. Viene esaminato lo spirito dell’azione vincenziana, protesa verso i bisogni umani e pervasa dalla caritá interiore e operosa. In forza di ció M. VINCENT conduce la sua opera con uguale attenzione a Dio e ai poveri. La fede vincenziana vuole essere intelligenza pratica delle situazioni. La spiritualitá comincia cosi ad articolarsi molto distintamente: dalla Provvidenza divina, in nome della quale vengono colti i piú profondi bisogni umani, alla valutazione dell’elemento volontá orientata, da una parte alta conformitá con « le bon plaisir de Dieu » (p. 241), dall’altra a una illimitata disponibilitá; di qui il senso vivissimo della misericordia di Dio e di una comprensione attiva delle attese umane; di qui inoltre l’autenticitá dell’azione vincenziana in quanto coscienza del proprio essere e in quanto esperienza estremamente finalizzata.
Dove porta tutto questa? E quali ne sono le conseguenze?
La risposta viene data nel lungo capitolo 13°, quello che dal punto di vista pratico rivela íl massimo di originalitá della síntesi spirituale vincenziana e si potrebbe definire come il tentativo di rappresentare e descrivere l’effettivo vangelo vincenziano. Ci si puó rendere conto giá dall’indicazione dei sottotitoli: « Vivre en vraies chrétiennes », « Serventes des pauvres servantes de Jésus-Christ », « Malheur i celui qui parlera de les faire religieuses », « Aller aux pauvres, voir Jésus-Christ en eux », « Un prétre plus parfait qu’un religieux », « La compagnie accourt aux besoins plus pressants et plus délaissés».
Il capitolo 14° non é che la immediata e naturale esplícitazione del precedente: l’azione vincenziana cioé, per la sua ca- rica interiore, é indiscutibilmente efficace nelle situazioni della vita cristiana. E’ morsa dalla carita, é caríca di esperienza, aderisce agli stati di vita di Cristo, obbedisce alla volontá di Dio, é disponibilitá e ricettivitá nello stesso tempo, é insomma sintesi operativa della perfezione cristiana, secondo il pensiero di S. TomMASO: « Sicut… maius est illuminare quam lucere solum, ita maius est contemplata aliis tradere quam solum contemplari» (p. 22). Se l’azione si qualífica dalla intenzione che la ispira, e se tale intenzione é diretta alla gloria di Dio e al servizio del prossimo, ahora l’espressione ignaziana: « in actione contemplativus » potrebbe tradursí meglio come synthesis; cioé la perfezione della vita spirituale consiste nella intentio simultanea atque unificata actionis et contemplationis; da cui scaturisce fi suo carattere di reversibilitá, o di circolariti, come fu detto (p. 1-2). Tale é vero senso della spiritualitá vincenziana, che non toglie nulla alla mistica tradizionale, anzi vi aggiunge una estrema praticitá e concretezza.
La definizione e le conclusioni
La spiritualitá dell’azione é piit credibile, perché si dimostra pratica, realistica, e perché risponde alle esigenze operative della spiritualitá cristiana in quanto tale. Naturalmente si differenza dalla mistica solo accidentalmente — cioé per la prevalenza di componenti attive — mentre le si identifica qualitativamente, in quanto alla essenza: la vita di unione con Dio. In breve: azione e contemplazione hanno lo stesso fine, ne é diverso il metodo di raggiungerlo.
Tuttavia bisogna ritenere questo in maniera incontrovertibile: che M. VINCENT ha impostato la sua vita spirituale moho concretamente, perció la definizíone della sua spiritualitá non puó essere che sintetica e dinamica; cioé « SPIRITUALITÁ DELL’AZIONE É L’ORGANIZZAZIONE DELLA ES I STENZA INDIVIDUALE CONTINUAMENTE VERIFICATA SULLO SPIRITO DI CRISTO E COME TALE ATTA AD AS S UMERS I PRECISE S ITUAZIONI UMANE IN CUI LA ESPERIENZA DI DIO E IL SERVIZIO DI DIO VIENE A COMPIERSI NELLA ESPERIENZA E NEL SERVIZIO DEGLI UOMINI ATTRAVERSO L’AZIONE » (p. 366).
Se la prima parte della tesi offre un quadro orientativo verso l’azione, mentre la seconda parte tratta della metodologia e dei problemi teologici connessi con la spiritualitá vincenziana, é nella terza parte che si attua il vero piano del lavoro, dove al dominio delle fonti si aggiunge anche l’impegno della interpretazione. L’analisi nel suo sviluppo ha ipotizzato formule nuove, ha offerto suggestioni, ha messo in luce valori e dato indicazioni precise in ordine alla vita spirituale. Sicché la spiritualitá vincenziana, proprio in quanto spiritualitá dell’azione, non solo contiene creativitá ed é adattamento e dinamismo, come é stato spiegato, ma anche la sua stessa struttura, le sue articolazioni, i suoi appelli presentano nello stesso tempo uno straordinario potere mistico. Non é piú il « contemplativo » a imporsi, ma l’« attivo-contemplativo »; non la mistica pura, ma l’amore effettivo. Quindi esatto dire che Vincenzo non é tra i mistici né é un mistico — se per mistico intendiamo il maestro di vita spirituale tipico del se- colo XVII, cioé sistematico, penetrante e speculativo, e tanto meno se dovessimo intendere con quel termine coloro che sono favoriti di doni straordinari: visioni, rapimenti, estasi ecc… Tuttavia M. Vincent nella sua esperienza ordinaria di Dio resta un mistico capace di sintesi, piú eclettico che originale, pratico e umanissimo.
Tutto ció che la grazia fa in noi — e tutto ció che noi facciamo per la grazia — é di ordine mistico, é vita mistica. Affermazione, questa, verificabile attraverso la riflessione sulla condotta di M. VINCENT. E’ PIÚ BELLO, PIÚ S TIMOLANTE E FECONDO PER LA VOCAZIONE CRISTIANA CONVINCERSI CHE DIO É ALLA PORTATA DI TUTTI, CHE DIO É PER TUTTI, E INOLTRE CHE IL SUO AMORE UNIFICA E NON SEPARA. Le grazie straordinarie, i doni singolari, le esperienze del tutto passive della presenza di Dio nell’uomo ci sono state e ci saranno sempre. Se é mistero ció che Dio a a tutti, phi grande mistero é ció che Dio da ad alcuni. Tutte le esperienze spiritualí valgono, tuste sono salvifiche. Se fino a ieri — anche se questo ieri é o puó essere il medesimo Grand Siécle mystique — si é creduto al privilegio della vita mistica restringendolo a pochí, quasi che l’altro fronte di esperienza non fosse fecondo e nobile quanto il primo, in nome di M. VINCENT e per la veritá della sua vita di comunione con Dio e coi poveri, bisogna rallegrarsi che la vita spirítuale abbia acquisito pitsi evidenza e praticitá per tutti.
La spiritualitá vincenziana ha tutti gli elementi e la veritá e la grazia della vita autenticamente mística, ma pure ha la forza creatrice, attualizzante e pregnante dell’azione. In essa é la glorificazione purissima di Dio e l’assunzione di ogni situazione, in cuí l’uomo ha bisogno di essere amato e liberato (p. 347-357).