Giorno sesto. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone.
VINCENZO non ebbe minor amore per i religiosi, di quello che aveva per gli ecclesiastici secolari. Ben lontano dal credere che l’ umile loro stato fosse una ragione di stimarli meno, trovava in esso de’motivi di una perfetta venerazione. Non imputava già al corpo,per una malignità tanto ingiusta quanto comune, la caduta di alcuni particolari. Sapeva che coloro, i quali nulla perdonando sarebbero molto da compiangersi se fossero misurati in quel modo eh’ eglino misurano gli altri. Occupato come era de’ suoi affari Vincenzo non si divertiva a rintracciare i diffetti di coloro, di cui non era incaricato; non vedeva que’difetti se non quando colpivano gli occhi. Scongiurava i suoi per le viscere della carità di Gesù Cristo di rispettare tutti gli ordini stabiliti nella Chiesa, di sbandire da’loro cuori l’invidia, la gelosia e simili passioni, che punto non si accordano coll’umiltà, nè colla carità, quale devesi al prossimo. Da ciò emergevano quelle belle parole che ripeteva sovente. «Amerei meglio.« perdere cento stabilimenti, che impedirne un solo di qualunque altra comunità. »
La sua tenera affezione per i Regolari mostrossi soprattutto nello zelo che dimostrò nel ricondurre all’osservanza primitiva del loro stato coloro i quali se n’erano allontanati. Più case religiose sono un monumento glorioso dell’attività e dell’estensione della sua carità. Non la ristrinse soltanto ad alcune comunità; ma la estese fino sopra case insolite ed anche sopra religiosi in particolare. Nulladimeno il suo amore per lo stato monastico non era debole nè cieco. Non approvava, senza avere solide ragioni, si passasse da un ordine ad un altro, voleva che ciascuno si santificasse nella propria vocazione.
« Compatisco le vostre pene, scriveva ad un regolare; abbiate pazienza, M. R. P., e chiedetela al nostro Signore, cui piace d’esercitarvi. ‘Egli farà in modo che l’ordine in cui vi ha posto, rassomigliante ad un vascello agitato, vi guiderà facilmente al porto. Non posso raccomandare a Dio, secondo il vostro desiderio, il pensiero che avete di passare in un altro ordine, perchè mi sembra non sia conforme alla sua volontà. Ovunque ci sono delle croci, e la vostra età inoltrata vi dove far evitare quelle, che trovereste cangiando di stato.»
Su questo fondamento si può giudicare quanta gioia provasse vedendo un gran numero di famosi monasteri ridivenire a’ suoi tempi come erano stati ne’ loro più bei giorni, e quanto dolore risentisse nel vederne alcuni altri sacrificare la loro coscienza all’amore d’una falsa e colpevole libertà. Fra i tanti servigi che il Santo ha prestati ad una infinità di monasteri, non si son mai conosciuti se non quelli che non ha potuto occultare. Oltre quelli elle rese all’ordine di Malta, per i quali ricevè dal Gran Maestro Paolo Lascaris (discendente da’Conti di Ventimiglia e procedente dagli antichi Imperatori di Costantinopoli) una lettera di ringraziamento, fu abbastanza felice di prestarne ai Rev.di Padri Minimi, ed è in considerazione di questi servigi, che il Generale dei medesimi, indirizzò a Vincenzo delle lettere d’associazione, che lo fanno partecipare alle preghiere, ai sacrifizi, a’digiuni, alle indulgenze e a tutte le buone opere che si facevano e che si farebbero in seguito in tutta l’estensione del suo ordine.
Quanto Vincenzo fece per introdurre l’ordine presso i Religiosi, lo fece con impegno anche maggiore per ristabilire o conservare una esatta disciplina nei monasteri di vergini. Sapeva con San Cipriano, che più le vergini consacrate a Dio fanno onore alla sua Chiesa mediante la regolarità de’ loro costumi, tanto più si rende necessario di fortificarle contro alla loro propria fragilità, e non ignorava il cattivo esempio contagioso ovunque, lo fosse ancor di più presso persone più facili ad essere sedotte. Per questo motivo procurò sempre loro delle Abadesse, e delle Superiore, le quali non dovessero la loro vocazione al sangue nè alla carne, ma unicamente alla volontà di Dio.
Persuaso che il fervore o la decadenza delle comunità di vergini proviene ordinariamente da ehi è alla testa dei monasteri, fu sempre ferino a far nominare per Superiore quelle che erano le più capaci, le più provate, le più esatte a tutte le osservanze regolari. Così quando alcune Abadesse, sotto pretesto di età o d’infermità dimandavano per coadiutrici le loro sorelle, le loro nipoti, od altre parenti, per le quali avevano troppo attaccamento, il Sant’Uomo, nemico dichiarato di tenerezze affatto mondane non badava se non alla gloria d’Iddio e al bene della comunità, e qualunque cosa si fosse fatta o detta era irremovibile su questo particolare. Adduceva per ragione, che allorquando le abazie vengono a vacare in caso di morte, si ha la libertà di scegliere delle religiose virtuose, e capaci di mantenere il buon ordine se vi è, e di ristabilirvelo se manca; quando invece col mezzo di queste coadiutrici, una religiosa, che ha poca virtù, succede sovente ad un’allra, che ne aveva poco più.
Le buone opere, di cui abbiamo finora parlato, non fecero dimenticare a Vincenzo le figlie di San Francesco di Sales. Le visitò in vari tempi, e vide con soddisfazione tutto ciò che la divozione e l’unione hanno di più dolce e di più consolante. Quelle sante figlie hanno confessato dappoi, la presenza di Vincenzo essere mai sempre stata per loro una sorgente di grazia e di benedizioni; poichè avendo egli sopra tutto il raro talento di calmare le loro pene,e molte fra loro ch’erano in preda a aravi tribolazioni di spirito, se ne trovarono interamente liberate, allorchè avevano la fortuna di conversare con lui. S. Francesta di Chantal confessò pure con riconoscenza, che i lumi ed i consigli di quel grati servo di Dio le avevano giovato di molto per la sua condotta particolare, e per quella dell’ordine suo.
La carriera percorsa da Vincenzo è così vasta che è quasi prodigiosa; contando anche per poco i molti servigi prestati alle comunità d’uomini e di donne; que’ soli resi agli eserciti ed a’ paesi che furono il teatro della guerra lo pongono a livello cogli uomini di misericordia, i quali maggiormente onorarono la Chiesa, e beneficarono l’afflitta umanità. in una sanguinosa guerra insorse una pestilenza per cui molti morivano privi de’ conforti della religione. Vincenzo inviò venti, de’suoi missionari, i quali confortava con queste parole. «La peste serpoggia nell’esercito, scriveva Vincenzo ad uno di loro; andate dunque, Signore, andate collo stesso spirito con cui S. Francesco Saverio andò alle Indie, e riporterete al pari di lui la corona da Gesù Cristo meritatavi col suo sangue prezioso, la quale vi accorderà se onoratela sua carità.»
La fedeltà di que’ degni ministri nel compiere il sacro ministero attirò le benedizioni del cielo sui loro lavori; ne sostennero la fatica con molto coraggio. Fra pochi mesi contavansi già quattro mila soldati che s’erano accostati al tribunale di penitenza con grande effusione di lagrime: alcuni fra loro furono altresì attaccati dalla malattia contagiosa, ma Dio li conservò alla sua Chiesa per la salute delle anime.
In un’altra guerra moltissimi perivano di miseria; ma Vincenzo pieno il cuore di carità e colle lagrime agli occhi si presentò alla Regina e ad altre pie persone per ottenere caritatevoli sussidi. Diede egli stesso l’esempio d’una santa e generosa liberalità. Salvò la vita e spesso l’onore agli abitanti di venticinque città, ed un numero infinito di borghi e di villaggi che erano agli estremi. I malati riceverono da lui ogni maniera di soccorsi quali potevano aspettarsi dalla paterna sua carità; procurò degli abiti ad un numero prodigioso di persone non solo del basso popolo d’ogni età e d’ogni sesso: ma ancora ad una quantità di giovani distinti, che erano in grave pericolo; a moltissimi Religiosi, li cui monasteri erano stati saccheggiati; ad una quantità di Vergini consacrate a Dio.
Il Santo adottò nella distribuzione delle elemosine tutte le misure d’una prudenza consumata. Spedì dodici. de’suoi Missionari pieni di zelo e d’intelligenza in diversi luoghi del paese; associò loro alcuni fratelli della sua Congregazione, i quali conoscevano alcuni rimedi contro alla peste ed erano abili in medicina ed in chirurgia; diede loro un lungo e saggio regolamento, in virtù del quale non potevano offendere i Vescovi, nè i parrochi, nè i governi, nè i magistrati; prescriveva loro di consultarli affine di evitare le sorprese, e di proporzionare i soccorsi a’ bisogni ed alla condizione di quelli, a’ cui dovevano essere distribuiti. il santo ardore, che comunicò alle migliori famiglie di Parigi, le indusse per verità a fare nel corso di quasi vent’anni degli sforzi che la posterità durerà fatica a credere: ma il male essendo pressochè universale e il bisogno quasi estremo, bisognava, se posso così esprimermi, moltiplicare col buon ordine i soccorsi, i quali sebbene considerabilissimi in se stessi, non lasciavano d’essere di molto inferiori a’ bisogni di quel paese.
Basti solo quanto avvenne a Metz per molti fatti particolari che troppo lungo sarebbe il numerare tutti. Colà il numero de’poveri era somigliante ad un esercito d’infelici. Ogni mattino se ne trovavano dieci o dodici morti, senza noverare coloro che sorpresi in siti appartati divenivano la preda delle bestie carnivore; perchè i lupi furiosi erano pur essi una delle piaghe, con cui Dio percuoteva quel popolo disgraziato. Assuefatti a nudrirsi di cadaveri si vendicavano sui viventi de’morti i quali loro mancavano; assalivano in pieno giorno, mettevano a brani, divoravano le donne ed i fanciulli; le borgate ed i villaggi ne erano infestati orribilmente, entravano perfino durante la notte nelle città dalle aperture delle mura, portavan via tutto quanto potevano afferrare.
Notte e giorno il Santo Prete si occupava di quelle calamità e de’ mezzi di provvedervi; e vi provvide realmente. Fece passare in tutto il paese immense somme di danaro. stoffe, abiti, coperte e in nessun tempo uomo alcuno meritò meglio di lui il nome di Padre de’ poveri. La Lorena deve di generazione in generazione trasmettere fino a’ suoi più tardi nipoti la memoria, che la maggior parte di essi devono a lui l’ esistenza perchè la salvò ai loro padri: questo appunto riconobbero i magistrati di quasi tutte le città da lui soccorse. Ringraziarono il Santo a nome de’ loro fratelli, a un dipresso come San Paolo ringraziava Filemone per avere soccorsi nella loro estrema miseria i servi di Dio: Quia viscera Sanctorum requieverunt in te.
Frutto. Se desideriamo che le nostre viscere si possano anche appellare viscera Sanctorum viscere de’Santi, sia nostro impegno soccorrere il prossimo quando è travagliato dalla necessità. Il demonio per ingannarci dice di pensare attentamente all’avvenire e conservarci alcunchè pel caso d’inaspettato bisogno; ma questa è prudenza mondana; il Signore ci parla chiaramente dicendo che colui il quale vuol essere suo vero discepolo deve dare a’poveri tutto quanto gli sovravanza del necessario sostentamento. Quod superest date pauperibus.