Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo spirito di San Vincenzo De’ Paoli. Giorno decimosesto

Francisco Javier Fernández ChentoVincenzo de' PaoliLeave a Comment

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Author: Don Bosco · Year of first publication: 1848.
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Giorno decimosesto. Sua pazienza.

La pazienza è uno de’mezzi sicuri per giugnere a salvamento delle anime nostre. In patientia vestra possidebitis animar vestras, dice il Signore. Questa massima era sì altamente radicata nel cuor di Vincenzo che languiva di afflizioni quando non aveva tribulazioni nella propria persona o in quella de’suoi figli. «La nostra congregazione, diceva loro, nulla soffre, tutto le va bene; e Dio, senza farle sentire traversia, nè agitazione, la benedice in ogni modo questa gran calma mi dà qualche inquietudine, perchè è proprio d’Iddio l’esercitare coloro che lo servono e di permettere tribulazioni a coloro che lo amano. Mi rammento di quello dicesi di S. Ambrogio, il quale avendo inteso dal padron « di una casa, in cui egli entrò in uno dei suoi viaggi, che non sapeva che cosa fosse afflizione, ne uscì frettoloso, dicendo a coloro che lo accompagnavano: Usciamo di qui, perchè la collera di Dio è prossima a cadere su questa casa. Cadde infatti, perchè il fulmine la rovesciò dopo alcuni momenti, schiacciando sotto le sue rovine tutti coloro che vi erano. D’altra parte io vedeva alcune compagnie agitate di tempo in tempo e che soffrirono orribili persecuzioni, e diceva fra me stesso: Ecco come Dio ci tratterebbe se fossimo saldi nella virtù; ma conoscendo la nostra debolezza ci nutre col latte a guisa di piccoli fanciulli, e permette ogni cosa cì vada propizia, quasi senza che noi cc ne ingeriamo. Ho dunque ragione di temere mere non essere noi accetti a Dio, nè degni di soffrire qualche cosa per amor suo.»

Ciò che il Santo diceva alla sua comunità radunata, lo diceva al Superiore d’una delle sue case, che gli aveva manifestato essergli di pena il governarla. «Ohimè! signore, credereste forse di trovarvi bene senza soffrire? Non sarebbe forse più desiderabile di avere un demonio in capo che essere senza alcuna croce? Sì, perchè in quello stato il demonio non porterebbe all’anima alcun nocumento: ma nulla avendo da soffrire, nè l’anima, nè il corpo sarebbero conformi a Gesù Cristo paziente: eppure questa conformità è la prova della nostra predestinazione. Perciò ciò non vi stupite delle vostre pene, poichè il figlio di Dio le ha scelte per la nostra salvezza. Non è forse consolato il nostro cuore vedendosi fatto degno innanzi a Dio di soffrire servendolo? Certamente dovete ringraziarlo particolarmente e siete obbligato di domandargli la grazia di farne un buon uso. Bisogna condursi a Dio per infamiam et bonam famam. La sua divina bontà ci usa misericordia quando si compiace di permetterci di cadere nel biasimo e nel pubblico disprezzo: io non dubito che non abbiate ricevuto in pazienza la confusione derivata da ciò ch’è occorso. Se la gloria del mondo non è che un fumo, lo stato contrario è un bene solido, quando è soppórtato come conviensi: spero che riceverete un gran bene da questa umiliazione. Dio voglia mandarcene tante da poterci meritare di piacergli: bisogna desiderare ardentemente di avere delle croci, e dirò con S. Francesco Saverio: Ancor più, Signore, ancor più.» La pazienza del Santo ne’ mali, o piuttosto il suo genio per f patimenti, non risplenderono giammai come nelle sue malattie. Un missionario commosso dallo stato in cui vedeva quel venerabile vecchio esclamò in un primo movimento: Oh! Signore, quanto sono molesti i vostri dolori! «E che? rispose vivamente il Santo ammalato, qualificate voi di molesta l’opera di Dio e ciò ch’egli ordina, facendo soffrire un miserabile peccatore qual io sono? Dio vi perdoni ciò. che avete detto, perchè non parlasi così nel linguaggio di Gesù Cristo. Non è forse giusto che il colpevole soffra; e non apparteniamo forse più a Dio che a noi stessi? La malattia è uno stato quasi insopportabile alla natura, ed è nulladimeno uno de’ più possenti mezzi di cui Dio si vale per richiamarci al dovere, per allontanarci dall’afa lezione al peccato e per ricolmarci de’suoi doni e delle sue grazie. Si è in questo modo che le anime si purificano, e quelle prive di virtù trovano un mezzo efficace onde acquistarne: non potrebbesi rinvenire uno stato più proprio per praticarla. a Appunto nelle malattie la fede si esercita mirabilmente; in esse la speranza sfavilla con maggior splendore; la rassegnazione, l’amor di Dio e tutte le virtù trovano un’ ampia materia d’esercizio.»

Vincenzo era soggetto ad una leggera febbre, che durava anche quattro o cinque giorni, e qualche volta quindici e più, e sebbene in questo frattempo patisse assai, pure continuava ad occuparsi de’ suoi esercizi e de’ suoi affari.

A questa febbre si aggiungeva due volte all’anno una febbre quartana, e nulla più la curava di quella; in un caso uguale avrebbe fatto trasportare all’infermeria l’ultimo de’ suoi figli, ma egli non vi andava, e fu soltanto all’età di 80 anni trascorsi che la debolezza del corpo cominciò a far vacillare alquanto la vivacità e la forza del suo coraggio; perciò bisogna confessare che il resto della vita del Santo non fu d’allora in poi che una complicazione di mali. Nel 1656 ebbe una febbre continua per alcuni giorni che terminò con una grande flussione in una gamba; allora suo malgrado fu costretto di rimaner a letto per qualche tempo. Si profittò di quella occasione per fare che alloggiasse in una camera col fuoco, perchè lino allora non era stato possibile di determinarnelo.

Quel debole sollievo gli divenne ben presto più che mai necessario: l’enfiagione delle sue gambe si dichiarò in un modo sì violento che, per sopportarne i dolori, gli fu necessaria tutta la pazienza dei Santi. Il male fece rapidi progressi; si portò alle ginocchia: finalmente una delle sue gambe si aprì al modo dei piede destro. Due anni dopo vi si formarono nuovi ulceri, ed il dolore dei ginocchio aumentando sempre, non fu più possibile al servo di Dio, dopo il principio dell’anno 1659, uscire di casa. Continuò nulladimeno per qualche tempo a discendere per trovarsi all’orazione colla sua comunità e dire la santa messa in chiesa; ma verso la fine di quell’ istesso anno più non potè discendere, e gli fu mestieri di celebrare nell’oratorio dell’infermeria. Qualche tempo appresso le gambe gli mancarono talmente che non potè più scendere all’altare; fu dunque costretto di contentarsi d’ascoltare la messa, e l’ascoltò difatti fino al giorno del suo decesso.

A queste infermità abituali se ne aggiunse un’altra, la quale lo tormentò sì crudelmente, che era costretto esclamare con S. Bernardo; «Signore, se trattate cosi i vostri amici nel tempo stesso della misericordia, che farete mai a’ vostri nemici nel tempo che destinate alle vostre vendette?» In meno di quattro mesi la morte gli tolse tre persone ch’erano il sostegno della sua vecchiezza. Tanti colpi sembravano dover bastare alla giustizia di quegli il cui occhio penetrante trova del fieno e della paglia nelle sue più belle opere, e che per effetto di sua misericordia fa espiare durante la vita ciò che la sua severità potrebbe far espiare dopo morte.

Lo stato in cui il Santo era ridotto gli fece bastantemente conoscere che il termine della sua carriera non era molto lontano, tuttavia non si osservava in lui per ciò che concerne lo spirito nè decadimento, nè alterazione. Il male che rattrista sempre coloro che soffrono molto e lungamente, sembrava che facesse un effetto contrario in lui. Coloro, tanto esteri, quanto famigliari, i quali venivano a visitarlo in tutte le ore delta giornata, trovarono sempre in lui un volto sereno e ridente, quel tuono di voce e quelle maniere piene. di dolcezza che guadagnano i cuori. Allorquando gli chiedevano notizie del suo male, ne parlava in maniera da far credere che fosse cosa da poco; mutava poi discorso, e delle sue pene, che bramava si dimenticassero, passava a quelle di coloro che parlavano con lui per compatirli. Quando l’intensità del dolore si faceva sentire con maggior violenza, non uscivano dalla sua bocca che queste parole pronunciate sempre con molta tenerezza: Ah! mio Salvatore! mio buon Salvatore! Fissava in seguito gli occhi sull’ immagine di Gesù Cristo attaccato alla croce che aveva fatto collocare dirimpetto a se, e ivi attingeva nuove forze per sopportare il suo male. Sentimenti sì religiosi erano appoggiati sovra principi cristiani. Cominciava Vincenzo dal considerare nella vita del Salvatore, che quel gran modello soffrì le prove le più forti; che l’odio contro di lui lo condusse finalmente al Calvario; che non promise ai suoi Apostoli che delle croci e de’ cattivi trattamenti, e non essendo perfetto il discepolo se non quando rassomiglia al suo maestro, è giusto che soffriamo come Egli ha sofferto.

Il secondo principio che rendevalo sì tranquillo in mezzo alle più violenti prove era, da un lato, che le pene non ci accadano se non per volontà di Dio, secondo l’ espressione di un Profeta: Si est malum in civitate, quod non fecerit Dominus; dall’altro, che Dio non affligge i suoi servi se non perchè ha su di essi de’ disegni di misericordia. Da ciò conchiudeva, coloro che soffrono essere cari al cielo, e più cari assai quando ricevono desolazioni sopra desolazioni, e pene sopra pene. «Un giorno solo di tentazione, diceva, produce più meriti a che molti anni di tranquillità; un’ anima a che si trova sempre nel riposo è simile a quelle acque stagnanti che divengono limacciose ed infette: al contrario l’anima esercitata dalla tribulazione rassomiglia a que’ fiumi che scorrono fra le rupi e gli scogli, le cui acque son più dolci e più cristalline. Le croci non solamente in segnano la pazienza, ma anche la compassione verso del prossimo, e Gesù Cristo ha sofferto tanto affinchè nella sua persona avessimo un Pontefice, che potesse aver compassione delle nostre infermità.»

Finalmente l’ ultimo suo principio era quello di s. Paolo: cioè Dio non permette mai che siamo afflitti o tentati al di là delle nostre forze; ma ci aiuta colla sua grazia a cavar frutto dalle pene e dalle contraddizioni, che noi dobbiamo sopportare. Sosteneva queste pene e queste contraddizioni essere come pegno de’più felici successi. Ed invero aveva cento volte provato che le missioni e gli altri esercizi della sua congregazione non avevano mai proceduto meglio come quando costavano maggiormente alla natura, ed è appunto ciò che gli fece dire in occasione d’una grave tribulazione di alcuni suoi preti, che se ne facevano quell’uso che gli Apostoli fecero delle persecuzioni che soffrivano, abbatterebbero il demonio con que’ medesimi mezzi che impiegava contro di essi.

Frutto. Facciamoci coraggio a patire per Dio; che se ci riempie di allegrezza il pensare alla grandezza del premio preparato, non ci deve atterrire quanto soffrir dovremo per andarne al possesso. Gesù mio, ricevete a vostra maggior gloria e a vantaggio mio spirituale tutte quelle pene a cui andrò soggetto prima della mia morte.

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