Federico Ozanam (1813-1853) (VII)

Francisco Javier Fernández ChentoFederico OzanamLeave a Comment

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Author: Luigi Chierotti · Year of first publication: 1997.
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VII – La rivoluzione del 1848

Il 1848 fu un anno climaterico per l’Europa intera, ma ovviamente a noi interessa in modo particolare la Francia.

Il Re «borghese», Luigi Filippo, salito al trono nel 1830, da principio aveva assecondato la corrente liberale, ma poi aveva rivelato sempre piú tendenze di governo personale, ap­poggiandosi alla ricca borghesia capitalista.

Contro questo modo di governare si era formato un mo­vimento, di varia estrazione ideologica, che tendeva a capo­volgere radicalmente le condizioni economico-sociali del Pae­se, capitanato dai «socialisti» di Saint-Simon, Fourier, Luigi Blanc, e anche da una pattuglia di cattolici. Questi ultimi ap­partenevano alla scuola de «L’Avenir» di La Mennais e si op­ponevano decisamente al liberalismo volterriano de Re.

Il 22 febbraio 1848 scoccó la scintilla e in poche ore i rivoluzionari furono padroni della capitale. Al Re non rima­se altro da fare che abdicare.

Si formó un governo provvisorio formato da democra­tici e socialisti, ma questo equilibrio duró poco. Gli estremi­sti suscitarono una nuova agitazione e ne scaturi una lotta civile sanguinosa (23-26 giugno).

L’Arcivescovo di Parigi, Mons. Affre, salito sulle barri­cate per mettere pace, fu colpito a morte. Aflora il generale Cavaignac, investito di pieni poteri, soffocó la sedizione.

Tra alterne vicende la Repubblica acquistó una fisiono­mia borghese e moderata e fi trionfo dei conservatori fu sug­gellato dalla nomina a presidente, dapprima per un periodo limitato di tempo, del principe Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone I (10/12/48).

Col colpo di Stato del 2/12/51 Napoleone si fece eleg­gere Presidente per 10 anni e poi, nel dicembre del 1852, realizzó il sogno della restaurazione dell’Impero, prendendo il nome di Napoleone III.

Ho dovuto richiamare, sebbene in maniera schematica, gli avvenimenti socio-politici succedutisi nei vent’anni, dal 1830 al 1850, in Francia, per poter comprendere la posizio­ne dei cattolici, divisi in due fazioni, e l’operato del nostro Ozanam.

Sul terreno della lotta sociale

Il 21 dicembre 1847 Ozanam riprendeva le sue lezioni alla Sorbona. L’aula era affollata e il professore, dopo otto mesi di assenza, fu accolto con grande entusiasmo.

La sua vita -parve rientrare tranquilla nell’ambito delle gioie domestiche, lo studio, l’insegnamento, la propaganda con la penna e le opere di carita.

Dopo la nascita di Maria, pareva che non mancasse nul­la ad una famiglia unita dall’amore e tutta intenta a nobili ideali.

Le vicende socio-politiche invece, dovevano presto tra­scinare Federico Ozanam su di un terreno scivoloso, coin­volgendolo in prima persona in contrasti, a cui forte non era preparato.

I suoi biografi sono d’accordo nell’affermare che egli non era né un sociologo né un economista. Le sue idee non erano frutto di uno studio dei fenomeni economici e socia­li. Non erano espressione di un forte pensiero filosofico, che non possedeva. Esse erano nate dal suo cuore e dal suo sentimento cristiano. Era l’amore che le aveva suggerite. Piú che un precursore lo si pub definire un apostolo. Le Con­ferenze di Caritá non avevano lo scopo di risolvere la que­stione sociale, ma di mettere in pratica il comandamento dell’ amor di Dio con la controprova dell’ amore per i fratelli piú poveri.

Un uomo che viveva accanto ai poveri ed entrava nei loro tuguri con tanto rispetto, si pub dire quotidianamente, o da solo o con la moglie o con i Confratelli di S. Vincenzo, doveva schierarsi ovviamente con loro, in una rivoluzione an­zitutto sociale, prima ancora che politica. Ed Ozanam si schie­ró col popolo in miseria, sia con i suoi scritti, sia con l’azio­ne. Con lui furono i Confratelli della Conferenza, alla quale, ad un certo punto, appartenevano ben 25 studenti su 75, suoi alunni all’Istituto Santo Stanislao.

Fin dal 22 ott. 1836 egli aveva scritto al Prof. Emanue­le Bailly: «Alle questioni politiche si sostituisce la questione so­ciale, la lotta tra la povertá e la ricchezza, tra l’egoismo che vuole accaparrare e l’egoismo che vuole conservare. Tra questi due egoi­smi lo scontro sara terribile, se la carita non si interpone, se non si fa mediatrice, se i cristiani con tutta la forza dell’amore non sanno guidare i poveri che hanno la potenza del numero e i ric­chi che hanno quella del denaro. Senza dubbio la Provvidenza non ha bisogno di noi per l’esecuzione dei suoi disegni di mise­ricordia, ma noi abbiamo bisogno di essa ed essa ha promesso il suo aiuto solo con la nostra collaborazione».

Pochi giorni dopo, il 5 nov. dello stesso anno, scriveva all’amico Lallier: «La questione che agita il mondo intorno a noi, non é una questione di persone né una questione di forme politiche, ma una questione sociale. E la lotta di coloro che non hanno nulla e di coloro che hanno troppo; é il cozzo violento dell’opulenza e della poverta…11 dovere di noi cristiani é di in­terporci fra questi due campi, affinché per mezzo nostro la cari­ta faccia quello che la giustizia da sola non saprebbe fare!».

Altrove affermava: «La questione del bene sociale e delle riforme benefiche si impara meno curvi sui libri e seduti ai piedi della tribuna politica, che non salendo alle stamberghe del poyero, sedendo al suo capezzale, soffrendo il suo medesimo fred­do, penetrando nel segreto del suo cuore esacerbato…Quando si é studiato il povero nella sua persona, a scuola, all’ospedale, nell’officina, nelle cittá, nelle campagne, in tutte le condizioni in cui Dio l’ha porto, allora solamente, muniti di tutti gli ele­menti, si comincia a comprendere il formidabile problema e si puó pensare a risolverlo!».

Trattando dei rapporti fra padroni ed operai, egli scri­veva: «Vi é sfruttamento guando il padrone considera l’operaio non come un collaboratore e suo ausiliario, ma come uno stru­mento, da cui bisogna trarre il maggior utile possibile, con la minor spesa…L’operaio-macchina non é allora che una parte del capitale, come lo schiavo dei tempi antichi».

«Mai il Cristianesimo avrebbe consentito ad una societá «di costrizione», che prende la persona umana alla sua nasci­ta, la spinge nella scuola nazionale, nelle officine nazionali, e ne fa soltanto un soldato senza volontá nell’ esercito dell’ in­dustria, un ingranaggio senza intelligenza della macchina del- lo Stato!».

Il suo pensiero si puó leggere anche in due lettere al fra­tello sacerdote, del 15 marzo e del 21 aprile proprio di quel­l’anno cruciale 1848: «Se un numero maggiore di cristiani — egli dice— si fossero occupati degli operai dieci anni fa, sarem­mo piú sicuri dell’avvenire…Tu, occupati dei servitori come dei padroni, degli operai come dei ricchi. Bisogna che i parroci ri­nunzino alle loro piccole parrocchie borghesi…Bisogna che pen­sino non soltanto ai miserabili, ma a tutta la classe operaia po­vera, che non chiede l’elemosina!».

Una coraggiosa battaglia…perduta

Il 1° marzo, sei o sette giorni appena dopo l’abdicazio­ne e la fuga del Re Luigi Filippo, Ozanam, Lacordaire e Don Maret stendevano il programma di un nuovo giornale catto­lico di ispirazione democratica, «L’Ere Nouvelle», La Nuo­va Era, con l’approvazione e l’appoggio dell’Arcivescovo di Parigi, Mons. Dionigi Augusto Affre. Lacordaire ne era il direttore, ma il peso maggiore della redazione doveva rica­dere sulle spalle di Ozanam.

Nella lettera di approvazione, del 16 aprile 1848, Mons. Affre diceva tra l’altro: «La conoscenza personale che io ho dei principi dei fondatori del vostro giornale, mi induce a darvi un’adesione, che non ho concesso ai giornali pubblicati sotto il precedente regime. Sono sicuro che non vi é pericolo che ri­sorga L’ Avenir… e i cattolici non tarderanno, spero, ad esserne convinti».

Il foglio comparve a ritmo regolare il 15 aprile e giunse ad avere sino ad 8.000 copie quotidiane, con 6.000 abbona­ti, di cui 2.000 sacerdoti.

Il tono del giornale era coraggioso e deciso.

Nel medesimo tempo e con gli stessi intenti ed idee, Oza­nam collaborava al «Correspondant».

Per poter meglio servire la causa del popolo, Federico accettó anche la candidatura all’Assemblea Nazionale, offer­tagli a Lione, ma i 16.000 voti raccolti, pur significando una bella affermazione, furono insufficienti per essere eletto. Ebbe peró la gioia di vedere eletto l’amico Lacordaire come depu­tato di Marsiglia, benché si scatenasse subito contro di lui una campagna furibonda. Il 12 aprile, Ozanam scriveva al­l’amico Lallier: «Non puoi credere quale ostilitá si sia scatena­ta contro Padre Lacordaire ed i suoi amici!».

Questa ostilitá proveniva anzitutto dal campo cattolico intransigente e conservatore. Tuttavia il Domenicano stesso era dubbioso a quale forma di governo aderire. Mentre Oza­nam credeva nella Repubblica popolare, Lacordaire esitava tra Repubblica e Monarchia. Alla fine Lacordaire diede le dimissioni da deputato e lasció «L’Ere Nouvelle», come, nel 1832, aveva lasciato L’ Avenir di La Mennais.

Anche Mons. Affre fu preso di mira, ma l’Arcivescovo confermó la sua piena fiducia a Lacordaire, nominandolo suo Vicario Generale.

La morte dell’ Arcivescovo

Poi vennero le sanguinose giornate di giugno. La parola passó alle armi. Federico fu precettato come guardia nazio­nale, a tutela della proprietá privata minacciata. Con lui fu­rono precettati anche i suoi amici della Conferenza e, primo di tutti, il suo Presidente, Adolfo Baudon (1819-1888), che fu gravemente ferito.

La reazione legalista, appoggiandosi ai ricchi borghesi, aveva adottato la perfida tattica di costringere i sostenitori dei díritti del popolo ad aprire i1 fuoco proprio su quegli af­famati che essi avevano difeso.

Ozanam vestí la divisa e fece il suo turno di guardia col fucile e le cartucce, ma, per un dono della Provvidenza, co­me egli afferma, non dovette sparare un sol colpo. «Non po­tei fare a meno di pensare —scrive al fratello sacerdote il 3 lu. 1848— al bene che tu avresti potuto fare in mezzo ai feriti e moribondi… Quanto a me e al mio plotone, abbiamo avuto allarmi e colpi di fucile vicini, ma, grazie a Dio, non abbiamo dovuto sparare un sol colpo. La mia coscienza era in regola e io non avrei indietreggiato davanti al pericolo. Tuttavia devo con­fessarti che é un gran brutto momento quello in cui si abbraccia la propria moglie e la bambina, pensando che puó essere l’ulti­ma volta!».

Ozanam e i suoi amici ebbero peró un’ispirazione e loro balenó l’idea che l’Arcivescovo di Parigi, con un atto co­raggioso, avrebbe potuto indurre i fratelli alla riconcilia­zione.

In compagnia pertanto del Prof. Bailly e Cornudet, Oza­nam si recó ad esporre il suo progetto all’Arcivescovo, il quale si dimostró subito favorevole.

II 25 giugno, scortato dai tre giovani, egli si portó dal Generale Cavaignac ed ottenne un salvacondotto ed una pro­messa di perdono per gli insorti, se si fossero arresi.

Tornato in Arvivescovado, conscio del pericolo a cui an­dava incontro, si confessó, rivesti l’abito paonazzo e la croce pettorale e si avvió con due sacerdoti verso il sobborgo di Sant’Antonio, dove la fucileria era piú nutrita. Avvicinan­dosi alle barricate, un Confratello di S. Vincenzo appese un drappo bianco ad un bastone, ma l’Arcivescovo volle proce­dere da solo e con un ordine formale non permise che alcuno lo accompagnasse. Vista poi una bottega d’angolo con due uscite, il Presule varcó la barricata e si trovó di fronte agli insorti.

Vi fu un istante di silenzio…poi echeggió da una fi­nestra un colpo di fucile, a cui seguí una sparatoria furi­bonda.

L’Arcivescovo, ferito mortalmente, cadde esclamando: «Che il mio sangue sia l’ultimo versato!».

Morfi due giorni dopo, il 27 giugno 1848.

Reazione dei cattolici intransigenti

La tragica morte dell’Arcivescovo fece un’impressione enorme, specialmente nel campo cattolico, e, ovviamente, rin­focoló la reazione conservatrice, che mirava ad una nuova alleanza fra trono ed altare.

Ozanam pianse amaramente la morte del Pastore corag­gioso e, preso dal rimorso, si penti di averío spinto incon­sciamente al sacrificio.

Coloro che tuonarono piú forte contro i cattolici demo­cratici furono il Conte di Montalembert col suo giornale «L’A­mi de la Réligion» e Luigi Veuillot, con «L’Univers».

A quasi 150 anni di distanza da quel 1848, che vide la sommossa di Parigi e il «Manifesto dei Comunisti» di Marx ed Engels, si puó meglio giudicare delle accuse brucianti ri­volte ad Ozanam ed al suoi amici.

Il Montalembert accusava Ozanam di difendere il «diritto al lavoro» per la povera gente, di battersi per «la tassazione progressiva», di «coprire» i rivoluzionari con l’indulgenza. Ozanam ed i suoi amici erano definiti «utili idioti», che facevano fi gioco dei comunisti. L’Ere Nouvelle era de‑ nominata dal Veuillot «L’Erreur Nouvelle»: «Il Nuovo Errore». Ozanam e suoi amici erano considerati come seguaci i La Mennais, cioé, in altre parole, condannati da Roma. Ozanam e Veuillot furono due uomini con molti punti di contatto e altrettanti di opposizione. Nati nello stesso auno, ambedue scrittori e pubblicisti di non comune valore, ferventi della stessa fede religiosa, dopo la rivoluzione del 1848 si trovarono avversari accaniti. Aggressivo e violento fi Veuillot, calmo e sereno Ozanam. Sembra che Ozanam si fosse guadagnato l’ostilitá di Veuillot fin da guando aveva citato, in un discorso, l’osservazione di Pascal circa gli increduli: «Non bisognerebbe ingiuriarli, eccetto nel caso che questa condotta fosse loro utile, altrimenti un simile atteggiamento nuoce loro ancora pdo. Forse il Veuillot vide un riferimento al suo metodo di apologia della fede.

Ozanam sognava una democrazia cattolica, Veuillot la riteneva un’illusione.

In realtá, per allora Ozanam ebbe torto, perché la de­mocrazia cattolica aveva ancora bisogno di essere lungamen­te depurata, prima di potersi appoggiare alla Chiesa.

Sedici anni dopo, nel 1864, il Sillabo di Pio IX e l’enci­clica Quanta cura condannarono il liberalismo.

Una bandiera ammainata

«L’Ami de la Réligion» intanto era impaziente di veder soppressa «L’Ere Nouvelle» e l’occasione venne presto. Aven­do l’Assemblea Nazionale ristabilito la cauzione per i gior­nali, onde soffocare la voce degli organi piú poveri, «L’Ere Nouvelle» si trovó finanziariamente alle strette.

Con un sottile raggiro allora, il Marchese di Rochejac­quelein si offri per comprare fi giornale, promettendo di ri­spettare lo spirito e di non mutare gli uomini della redazio­ne. La cessione avvenne il 31 marzo 1849 e giá l’indomani venivano licenziati i primi redattori. Poi il nuovo padrone, il Marchese, sconfessó con un suo lungo articolo tutta la po­litica precedente del giornale, ed infine ne sospese definiti­vamente la pubblicazione il 9 aprile 1849.

Alla fine rifiutó anche di pagare la somma stipulata nel­l’atto di vendita e, nel processo seguito, il Marchese ottenne di versare soltanto il 30% del prezzo pattuito.

Ozanam, amareggiato e disilluso, decise di abbandona­re la politica e la lotta sociale, e si ritiró tra i suoi libri, atten­dendo all’insegnamento ed alle Conferenze di Caritá, non sen­za prima ayer ammonito: «Senza dubbio la carita pubblica de- ve intervenire nelle crisi della societa. Ma la carita é il Samarita­no che versa l’olio sulle ferite del viandante assalito. Spetta per& alla giustizia impedire l’assalto dei furfanti!».

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