VII – La rivoluzione del 1848
Il 1848 fu un anno climaterico per l’Europa intera, ma ovviamente a noi interessa in modo particolare la Francia.
Il Re «borghese», Luigi Filippo, salito al trono nel 1830, da principio aveva assecondato la corrente liberale, ma poi aveva rivelato sempre piú tendenze di governo personale, appoggiandosi alla ricca borghesia capitalista.
Contro questo modo di governare si era formato un movimento, di varia estrazione ideologica, che tendeva a capovolgere radicalmente le condizioni economico-sociali del Paese, capitanato dai «socialisti» di Saint-Simon, Fourier, Luigi Blanc, e anche da una pattuglia di cattolici. Questi ultimi appartenevano alla scuola de «L’Avenir» di La Mennais e si opponevano decisamente al liberalismo volterriano de Re.
Il 22 febbraio 1848 scoccó la scintilla e in poche ore i rivoluzionari furono padroni della capitale. Al Re non rimase altro da fare che abdicare.
Si formó un governo provvisorio formato da democratici e socialisti, ma questo equilibrio duró poco. Gli estremisti suscitarono una nuova agitazione e ne scaturi una lotta civile sanguinosa (23-26 giugno).
L’Arcivescovo di Parigi, Mons. Affre, salito sulle barricate per mettere pace, fu colpito a morte. Aflora il generale Cavaignac, investito di pieni poteri, soffocó la sedizione.
Tra alterne vicende la Repubblica acquistó una fisionomia borghese e moderata e fi trionfo dei conservatori fu suggellato dalla nomina a presidente, dapprima per un periodo limitato di tempo, del principe Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone I (10/12/48).
Col colpo di Stato del 2/12/51 Napoleone si fece eleggere Presidente per 10 anni e poi, nel dicembre del 1852, realizzó il sogno della restaurazione dell’Impero, prendendo il nome di Napoleone III.
Ho dovuto richiamare, sebbene in maniera schematica, gli avvenimenti socio-politici succedutisi nei vent’anni, dal 1830 al 1850, in Francia, per poter comprendere la posizione dei cattolici, divisi in due fazioni, e l’operato del nostro Ozanam.
Sul terreno della lotta sociale
Il 21 dicembre 1847 Ozanam riprendeva le sue lezioni alla Sorbona. L’aula era affollata e il professore, dopo otto mesi di assenza, fu accolto con grande entusiasmo.
La sua vita -parve rientrare tranquilla nell’ambito delle gioie domestiche, lo studio, l’insegnamento, la propaganda con la penna e le opere di carita.
Dopo la nascita di Maria, pareva che non mancasse nulla ad una famiglia unita dall’amore e tutta intenta a nobili ideali.
Le vicende socio-politiche invece, dovevano presto trascinare Federico Ozanam su di un terreno scivoloso, coinvolgendolo in prima persona in contrasti, a cui forte non era preparato.
I suoi biografi sono d’accordo nell’affermare che egli non era né un sociologo né un economista. Le sue idee non erano frutto di uno studio dei fenomeni economici e sociali. Non erano espressione di un forte pensiero filosofico, che non possedeva. Esse erano nate dal suo cuore e dal suo sentimento cristiano. Era l’amore che le aveva suggerite. Piú che un precursore lo si pub definire un apostolo. Le Conferenze di Caritá non avevano lo scopo di risolvere la questione sociale, ma di mettere in pratica il comandamento dell’ amor di Dio con la controprova dell’ amore per i fratelli piú poveri.
Un uomo che viveva accanto ai poveri ed entrava nei loro tuguri con tanto rispetto, si pub dire quotidianamente, o da solo o con la moglie o con i Confratelli di S. Vincenzo, doveva schierarsi ovviamente con loro, in una rivoluzione anzitutto sociale, prima ancora che politica. Ed Ozanam si schieró col popolo in miseria, sia con i suoi scritti, sia con l’azione. Con lui furono i Confratelli della Conferenza, alla quale, ad un certo punto, appartenevano ben 25 studenti su 75, suoi alunni all’Istituto Santo Stanislao.
Fin dal 22 ott. 1836 egli aveva scritto al Prof. Emanuele Bailly: «Alle questioni politiche si sostituisce la questione sociale, la lotta tra la povertá e la ricchezza, tra l’egoismo che vuole accaparrare e l’egoismo che vuole conservare. Tra questi due egoismi lo scontro sara terribile, se la carita non si interpone, se non si fa mediatrice, se i cristiani con tutta la forza dell’amore non sanno guidare i poveri che hanno la potenza del numero e i ricchi che hanno quella del denaro. Senza dubbio la Provvidenza non ha bisogno di noi per l’esecuzione dei suoi disegni di misericordia, ma noi abbiamo bisogno di essa ed essa ha promesso il suo aiuto solo con la nostra collaborazione».
Pochi giorni dopo, il 5 nov. dello stesso anno, scriveva all’amico Lallier: «La questione che agita il mondo intorno a noi, non é una questione di persone né una questione di forme politiche, ma una questione sociale. E la lotta di coloro che non hanno nulla e di coloro che hanno troppo; é il cozzo violento dell’opulenza e della poverta…11 dovere di noi cristiani é di interporci fra questi due campi, affinché per mezzo nostro la carita faccia quello che la giustizia da sola non saprebbe fare!».
Altrove affermava: «La questione del bene sociale e delle riforme benefiche si impara meno curvi sui libri e seduti ai piedi della tribuna politica, che non salendo alle stamberghe del poyero, sedendo al suo capezzale, soffrendo il suo medesimo freddo, penetrando nel segreto del suo cuore esacerbato…Quando si é studiato il povero nella sua persona, a scuola, all’ospedale, nell’officina, nelle cittá, nelle campagne, in tutte le condizioni in cui Dio l’ha porto, allora solamente, muniti di tutti gli elementi, si comincia a comprendere il formidabile problema e si puó pensare a risolverlo!».
Trattando dei rapporti fra padroni ed operai, egli scriveva: «Vi é sfruttamento guando il padrone considera l’operaio non come un collaboratore e suo ausiliario, ma come uno strumento, da cui bisogna trarre il maggior utile possibile, con la minor spesa…L’operaio-macchina non é allora che una parte del capitale, come lo schiavo dei tempi antichi».
«Mai il Cristianesimo avrebbe consentito ad una societá «di costrizione», che prende la persona umana alla sua nascita, la spinge nella scuola nazionale, nelle officine nazionali, e ne fa soltanto un soldato senza volontá nell’ esercito dell’ industria, un ingranaggio senza intelligenza della macchina del- lo Stato!».
Il suo pensiero si puó leggere anche in due lettere al fratello sacerdote, del 15 marzo e del 21 aprile proprio di quell’anno cruciale 1848: «Se un numero maggiore di cristiani — egli dice— si fossero occupati degli operai dieci anni fa, saremmo piú sicuri dell’avvenire…Tu, occupati dei servitori come dei padroni, degli operai come dei ricchi. Bisogna che i parroci rinunzino alle loro piccole parrocchie borghesi…Bisogna che pensino non soltanto ai miserabili, ma a tutta la classe operaia povera, che non chiede l’elemosina!».
Una coraggiosa battaglia…perduta
Il 1° marzo, sei o sette giorni appena dopo l’abdicazione e la fuga del Re Luigi Filippo, Ozanam, Lacordaire e Don Maret stendevano il programma di un nuovo giornale cattolico di ispirazione democratica, «L’Ere Nouvelle», La Nuova Era, con l’approvazione e l’appoggio dell’Arcivescovo di Parigi, Mons. Dionigi Augusto Affre. Lacordaire ne era il direttore, ma il peso maggiore della redazione doveva ricadere sulle spalle di Ozanam.
Nella lettera di approvazione, del 16 aprile 1848, Mons. Affre diceva tra l’altro: «La conoscenza personale che io ho dei principi dei fondatori del vostro giornale, mi induce a darvi un’adesione, che non ho concesso ai giornali pubblicati sotto il precedente regime. Sono sicuro che non vi é pericolo che risorga L’ Avenir… e i cattolici non tarderanno, spero, ad esserne convinti».
Il foglio comparve a ritmo regolare il 15 aprile e giunse ad avere sino ad 8.000 copie quotidiane, con 6.000 abbonati, di cui 2.000 sacerdoti.
Il tono del giornale era coraggioso e deciso.
Nel medesimo tempo e con gli stessi intenti ed idee, Ozanam collaborava al «Correspondant».
Per poter meglio servire la causa del popolo, Federico accettó anche la candidatura all’Assemblea Nazionale, offertagli a Lione, ma i 16.000 voti raccolti, pur significando una bella affermazione, furono insufficienti per essere eletto. Ebbe peró la gioia di vedere eletto l’amico Lacordaire come deputato di Marsiglia, benché si scatenasse subito contro di lui una campagna furibonda. Il 12 aprile, Ozanam scriveva all’amico Lallier: «Non puoi credere quale ostilitá si sia scatenata contro Padre Lacordaire ed i suoi amici!».
Questa ostilitá proveniva anzitutto dal campo cattolico intransigente e conservatore. Tuttavia il Domenicano stesso era dubbioso a quale forma di governo aderire. Mentre Ozanam credeva nella Repubblica popolare, Lacordaire esitava tra Repubblica e Monarchia. Alla fine Lacordaire diede le dimissioni da deputato e lasció «L’Ere Nouvelle», come, nel 1832, aveva lasciato L’ Avenir di La Mennais.
Anche Mons. Affre fu preso di mira, ma l’Arcivescovo confermó la sua piena fiducia a Lacordaire, nominandolo suo Vicario Generale.
La morte dell’ Arcivescovo
Poi vennero le sanguinose giornate di giugno. La parola passó alle armi. Federico fu precettato come guardia nazionale, a tutela della proprietá privata minacciata. Con lui furono precettati anche i suoi amici della Conferenza e, primo di tutti, il suo Presidente, Adolfo Baudon (1819-1888), che fu gravemente ferito.
La reazione legalista, appoggiandosi ai ricchi borghesi, aveva adottato la perfida tattica di costringere i sostenitori dei díritti del popolo ad aprire i1 fuoco proprio su quegli affamati che essi avevano difeso.
Ozanam vestí la divisa e fece il suo turno di guardia col fucile e le cartucce, ma, per un dono della Provvidenza, come egli afferma, non dovette sparare un sol colpo. «Non potei fare a meno di pensare —scrive al fratello sacerdote il 3 lu. 1848— al bene che tu avresti potuto fare in mezzo ai feriti e moribondi… Quanto a me e al mio plotone, abbiamo avuto allarmi e colpi di fucile vicini, ma, grazie a Dio, non abbiamo dovuto sparare un sol colpo. La mia coscienza era in regola e io non avrei indietreggiato davanti al pericolo. Tuttavia devo confessarti che é un gran brutto momento quello in cui si abbraccia la propria moglie e la bambina, pensando che puó essere l’ultima volta!».
Ozanam e i suoi amici ebbero peró un’ispirazione e loro balenó l’idea che l’Arcivescovo di Parigi, con un atto coraggioso, avrebbe potuto indurre i fratelli alla riconciliazione.
In compagnia pertanto del Prof. Bailly e Cornudet, Ozanam si recó ad esporre il suo progetto all’Arcivescovo, il quale si dimostró subito favorevole.
II 25 giugno, scortato dai tre giovani, egli si portó dal Generale Cavaignac ed ottenne un salvacondotto ed una promessa di perdono per gli insorti, se si fossero arresi.
Tornato in Arvivescovado, conscio del pericolo a cui andava incontro, si confessó, rivesti l’abito paonazzo e la croce pettorale e si avvió con due sacerdoti verso il sobborgo di Sant’Antonio, dove la fucileria era piú nutrita. Avvicinandosi alle barricate, un Confratello di S. Vincenzo appese un drappo bianco ad un bastone, ma l’Arcivescovo volle procedere da solo e con un ordine formale non permise che alcuno lo accompagnasse. Vista poi una bottega d’angolo con due uscite, il Presule varcó la barricata e si trovó di fronte agli insorti.
Vi fu un istante di silenzio…poi echeggió da una finestra un colpo di fucile, a cui seguí una sparatoria furibonda.
L’Arcivescovo, ferito mortalmente, cadde esclamando: «Che il mio sangue sia l’ultimo versato!».
Morfi due giorni dopo, il 27 giugno 1848.
Reazione dei cattolici intransigenti
La tragica morte dell’Arcivescovo fece un’impressione enorme, specialmente nel campo cattolico, e, ovviamente, rinfocoló la reazione conservatrice, che mirava ad una nuova alleanza fra trono ed altare.
Ozanam pianse amaramente la morte del Pastore coraggioso e, preso dal rimorso, si penti di averío spinto inconsciamente al sacrificio.
Coloro che tuonarono piú forte contro i cattolici democratici furono il Conte di Montalembert col suo giornale «L’Ami de la Réligion» e Luigi Veuillot, con «L’Univers».
A quasi 150 anni di distanza da quel 1848, che vide la sommossa di Parigi e il «Manifesto dei Comunisti» di Marx ed Engels, si puó meglio giudicare delle accuse brucianti rivolte ad Ozanam ed al suoi amici.
Il Montalembert accusava Ozanam di difendere il «diritto al lavoro» per la povera gente, di battersi per «la tassazione progressiva», di «coprire» i rivoluzionari con l’indulgenza. Ozanam ed i suoi amici erano definiti «utili idioti», che facevano fi gioco dei comunisti. L’Ere Nouvelle era de‑ nominata dal Veuillot «L’Erreur Nouvelle»: «Il Nuovo Errore». Ozanam e suoi amici erano considerati come seguaci i La Mennais, cioé, in altre parole, condannati da Roma. Ozanam e Veuillot furono due uomini con molti punti di contatto e altrettanti di opposizione. Nati nello stesso auno, ambedue scrittori e pubblicisti di non comune valore, ferventi della stessa fede religiosa, dopo la rivoluzione del 1848 si trovarono avversari accaniti. Aggressivo e violento fi Veuillot, calmo e sereno Ozanam. Sembra che Ozanam si fosse guadagnato l’ostilitá di Veuillot fin da guando aveva citato, in un discorso, l’osservazione di Pascal circa gli increduli: «Non bisognerebbe ingiuriarli, eccetto nel caso che questa condotta fosse loro utile, altrimenti un simile atteggiamento nuoce loro ancora pdo. Forse il Veuillot vide un riferimento al suo metodo di apologia della fede.
Ozanam sognava una democrazia cattolica, Veuillot la riteneva un’illusione.
In realtá, per allora Ozanam ebbe torto, perché la democrazia cattolica aveva ancora bisogno di essere lungamente depurata, prima di potersi appoggiare alla Chiesa.
Sedici anni dopo, nel 1864, il Sillabo di Pio IX e l’enciclica Quanta cura condannarono il liberalismo.
Una bandiera ammainata
«L’Ami de la Réligion» intanto era impaziente di veder soppressa «L’Ere Nouvelle» e l’occasione venne presto. Avendo l’Assemblea Nazionale ristabilito la cauzione per i giornali, onde soffocare la voce degli organi piú poveri, «L’Ere Nouvelle» si trovó finanziariamente alle strette.
Con un sottile raggiro allora, il Marchese di Rochejacquelein si offri per comprare fi giornale, promettendo di rispettare lo spirito e di non mutare gli uomini della redazione. La cessione avvenne il 31 marzo 1849 e giá l’indomani venivano licenziati i primi redattori. Poi il nuovo padrone, il Marchese, sconfessó con un suo lungo articolo tutta la politica precedente del giornale, ed infine ne sospese definitivamente la pubblicazione il 9 aprile 1849.
Alla fine rifiutó anche di pagare la somma stipulata nell’atto di vendita e, nel processo seguito, il Marchese ottenne di versare soltanto il 30% del prezzo pattuito.
Ozanam, amareggiato e disilluso, decise di abbandonare la politica e la lotta sociale, e si ritiró tra i suoi libri, attendendo all’insegnamento ed alle Conferenze di Caritá, non senza prima ayer ammonito: «Senza dubbio la carita pubblica de- ve intervenire nelle crisi della societa. Ma la carita é il Samaritano che versa l’olio sulle ferite del viandante assalito. Spetta per& alla giustizia impedire l’assalto dei furfanti!».