Storiografia delle missioni (3)

Francisco Javier Fernández ChentoI tempi di San Vincenzo de PaoliLeave a Comment

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Author: Luigi Mezzadri, C.M. · Year of first publication: 1996 · Source: La predicazione in Italia dopo il Concilio di Trento, ed. Dehoniani Roma.
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3. I gesuiti

La predicazione alle popolazioni più abbandonate fu iscritta nel codice genetico della compagnia, tanto da suscitare la domanda se la scelta dei collegi sia stata una deviazione dallo spirito delle ori­gini1. L’elemento comune della pedagogia ignaziana non è conside­rato tanto la Ratio studiorum del 1599, bensì gli Esercizi spirituali che furono alla base del programma delle missioni popolari2.

Certo il p. Claudio Acquaviva (1543-1615)3, che governò la compagnia dal 1581 alla morte, impegnò ogni provincia (1590) a istituire un gruppo di missionari (da sei a dodici); nel 1594 racco­mandava la meditazione assidua temi dei due stendardi e del regno di Cristo. Poi, nel 1599 ribadiva il concetto che l’opera delle missio­ni era connaturale all’essere gesuita e raccomandava a tutti di dedi­carsi ogni anno a qualche missione. Ogni provincia doveva erigere alcune “residenze missionarie” per irradiare meglio l’evangelizza­zione nel territorio4.

Il p. Armando Guidetti ha pubblicato un lavoro compilatorio, ma molto utile sulla storia “missionaria” dei gesuiti italiani. È una specie di manuale per lo studio di questa esperienza plurisecolare che parte dalle origini, dalle grandi figure come Landini, prosegue con i due Segneri, Baldinucci, Pinamonti, Fulvio Fontana, S. Fran­cesco De Geronimo, S. Giuseppe Pignatelli, si avvicina a noi con il Pater Deda i Math, il p. Domenico Pasi (1847-1914)5 che percorse la montagna albanese devastata dalle lotte fra tribù (l’Albania era una società di tribù), devastata dai “sangui” (le vendette), dai con­cubinati e dai contratti di vendita delle fanciulle cattoliche ai turchi, e arriva ai nostri giorni. Il volume contiene una chiara messa a pun­to del metodo, delle direttive dei superiore e una serie di schede biografiche molto ricca. Il metodo segneriano è illustrato molto be­ne, ma non vengono trascurate altre iniziative, fra cui quella della missione urbana, una specie di missione permanente, che partiva dall’oratorio del Caravita, dal nome del p. Pietro Gravita (1588­1658).

Era necessario dare allo studio delle missioni gesuitiche un’im­postazione metodologicamente accurata. Carla Faralli ha iniziato un’inchiesta, che poi non sembra sia stata proseguita6. È un lavoro metodologicamente ben condotto. L’autrice riprende una conclu­sione di Alberto Asor Rosa, secondo il quale la Chiesa si sarebbe proposta «di riconquistare … il controllo sul popolo, attraverso strumenti di diffusione ideologica … come le predicazioni, i quare­simali, le cerimonie sacre, il rinnovamento e la codificazione dell’ar­te religiosa, il teatro»7. Segue, poi, una precisazione dei punti di ri­cerca, in cui la parte più discutibile è su talune aperture interpreta­tive8.

A rinnovare gli studi sull’argomento sono venute due pubbli­cazioni sulle strategie missionarie. La prima di Mario Rosa9 ha illu­strato le scelte operate dai gesuiti tese a potenziare la loro presenza nei collegi, ma senza trascurare un serio impegno missionario.

La seconda pubblicazione è quella di Giuseppe Orlandi, che si situa un secolo dopo lo studio di Mario Rosa. L’autore aveva già al suo attivo un lavoro fondamentale10, perché studiava il metodo se­gneriano in modo molto approfondito.

La novità del nuovo lavoro11 è duplice. Studiando le missioni dei gesuiti ha rilevato che nel ‘700 l’impegno profuso in questo mi­nistero dai figli di S. Ignazio era molto diminuito. L’evangelizzazio­ne delle campagne era stata sostenuta dai vari generali, ma la situa­zione concreta dei collegi aveva suggerito di specializzare nella pre­dicazione missionaria solo pochi soggetti. Pochi giorni dopo la morte di S. Francesco De Geronimo due gesuiti si rivolgevano al generale per segnalargli «il poco credito [di cui] in coteste parti» era tenuto «l’apostolato delle missioni»12. E questo anche per il fat­to che la missione penitenziale cominciava a invecchiare. In margi­ne alla missione di Narni, nel 1690, si rilevava: «La missione di Nar­ni è riuscita fin’ora con moltiplicate disapprovazioni del modo con cui si è fatta, non volevano le processioni, che si sono fatte, e Mon­signor Vescovo intervenne a quella della penitenza, ma non volle che si fermasse nella piazza dove il P. Centofiorini voleva predicare dopo essersi battuto in chiesa, e strascinata una pesante croce con catena a’ piedi nel tempo della processione. Il Capitolo è stato assai contrario a tutti, molti altri non hanno approvato il tanto, ed hanno disapprovato molto. Disse il Vescovo al Cavaliere Canonico ch’è in compagnia de’ Padri, che questi erano venuti per inquietarlo, che non voleva frondi, ma frutti»13.

Il secondo motivo serve a chiarire il motivo della fondazione dei redentoristi. Se le missioni dei gesuiti fossero state tanto fioren­ti, non si spiega perché S. Alfonso sia ricorso alla fondazione di una nuova comunità. E un discorso, questo, che si applica anche alle al­tre comunità missionarie preesistenti, come quella dei pii operai e dei lazzaristi, e che ha anche un altro versante di spiegazione, ed è quello della cristallizzazione del carisma e del suo invecchiamento, tanto da suggerire a Raymond Hostie di paragonare gli ordini e le congregazioni religiose alla vita umana: nascono, diventano adulti e, in molti casi, muoiono14. Comunque invecchiano.

Raimondo Turtas ha scelto la strada dello studio diretto delle relazioni, offrendoci uno spaccato molto interessante ed esemplare della Sardegna fra ‘500 e ‘60015. È l’epoca eroica, quando i missio­nari andavano a piedi, a due a due, accontentandosi del vitto e al­loggio che veniva loro offerto. La situazione era tale che in molti ca­si dovevano dormire su un tavolo o una cassapanca in stanze invase dall’umidità e dalle intemperie16. Nella missione di Oristano del di­cembre del 1600 i missionari mendicarono il cibo quotidiano, cosa che «si dimostrò di grande edificazione per tutti e molto efficace per attrarli»17. «Scopo della missione e del quaresimale … era quel­lo di supplire alle lacune dell’istruzione religiosa impartita dal clero parrocchiale e soprattutto di provocare negli ascoltatori una forte decisione per la conversione … Nell’immediato ciò si concretizzava in un pressante invito alla confessione, meglio se generale»18. La missione aveva pertanto come base il catechismo, utilizzando anche un minuscolo catechismo in 5 paginette in sardo: Sa doctrina chri­stiana a sa lingua sardisca. 19La missione aveva anche delle aperture di carattere sociale: nella missione citata venne aperto un conserva­torio per fanciulle orfane e povere mentre a Oliena si provvide ai «poveri vergognosi»20.

L’autore conclude in due direzioni. Le missioni per quasi un secolo e mezzo furono il mezzo più importante per l’evangelizzazio­ne della Sardegna. Esse, però, «restavano pur sempre una forma di intervento straordinario, un palliativo che non era in grado di com­pensare la strutturale e sconfortante impreparazione della maggior parte del clero allora impegnato nella cura animarum a svolgere dignitosamente questo compito»21. Questo lo si poté ottenere quando l’impegno per l’evangelizzazione itinerante fu compensato da un in­tervento diretto nella formazione del clero.

  1. Cfr. S. MIECNIKOWSKI, Ministerium Verbi Des, Romae 1960 (cfr. recensio­ne di M. SCADUTO in «Archivum Historicum Societatis Jesu» 29 [1960] 399-406); M. RUIZ JURADO, La espiritualidad de la compaiiía de Jésus en sus congregaciones ge­nerales, in «Archivum Historicum Societatis Jesu» 45 (1976) 233-290.
  2. Cfr. La pedagogia della compagnia di Gesù. Atti del convegno internazionale: Messina 14-16 novembre 1991, a cura di E GUERELLO — P. SCHIAVONE, Messina 1992.
  3. Si veda la voce di M. ROSA nel Dizionario Biografico degli Italiani, I, Roma 1960, 168-178. Si veda pure J. DE GUIBERT, Le généralat de Claude Acquaviva. Sa piace dans l’histoire de la spiritualité de la compagnie de Jésus, in «Archivum Histo­ricum Societatis Jesu» 10 (1934) 60-93.
  4. Cfr. A. GUIDETTI, Le missioni popolari. I grandi gesuiti italiani, Milano 1988; M. SCADUTO, Tra inquisitori e riformati. Le missioni dei gesuiti tra i valdesi della Calabria e delle Puglie. Con un carteggio indedito del card. Alessandriono (S. Pio V) (1561-1566), in «Archivum Historicum Societatis Jesu» 15 (1946) 1­76; ID., Le missioni di A. Possevino in Piemonte. Propaganda calvinista e restau­razione cattolica (1560-1563), in «Archivum Historicum Societatis Jesu» 28 (1959) 51-191.
  5. È “il padre Domenico il Grande”: E CORDIGNANO, L’Albania attraverso l’opera e gli scritti di un grande missionario italiano, il p. Domenico Pasi d.C.d.G., 3 voli., Roma 1933-1934.
  6. Cfr. C. FARALLI, Le missioni dei gesuiti in Italia (sec. XVI-XVII). Problemi di una ricerca in corso, in «Bollettino della Società di Studi Valdesi» 96 (1975) 97­116.
  7. A. ASOR ROSA, La nuova scienza, il barocco e la crisi della controriforma, in Il Seicento, Nari 1974, 33, spec. 97.
  8. Cfr. per esempio il riferimento al lavoro allora appena pubblicato di C. GINZBURG, Folklore, magia, religione, in Storia d’Italia, I, Torino 1972, 603-676. Per il giudizio sul saggio ci associamo a G. MARTINA nella recensione in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia».
  9. Cfr. M. ROSA, Strategia missionaria gesuitica in Puglia agli inizi del Seicento, in Religione e società nel Mezzogiorno tra Cinque e Seicento, Bari 1976, 159-186. Si veda pure: G. RIENZO, Il processo di cristianizzazione e le missioni popo­lari nel Mezzogiorno. Aspetti istituzionali e socio-religiosi, in Per la storia sociale e religiosa del Mezzogiorno d’Italia, I, a cura di G. GALASSO e C. Russo, Napoli 1980, 438-481; E. NovI CHAVARRIA, L’attività missionaria dei gesuiti nel Mezzogior­no d’Italia tra XVI e XVIII secolo, in Per la storia sociale e religiosa del Mezzogiorno d’Italia, II, a cura di G. GALASSO e C. Russo, Napoli 1982, 159-185; C. Russo, Chiesa e comunità nella diocesi di Napoli tra Cinque e Settecento, Napoli 1984, 372- 396;
  10. Cfr. G. ORLANDI, L.A. Muratori e le missioni di P Segneri jr, in «Spicile­gium Hístoricum Congregationis SS.mi Redemptoris» 20 (1972) 158-294. Oltre naturalmente a quello relativo a Le campagne modenesi fra rivoluzione e restaura­zione (1790-1815), Modena 1967
  11. Cfr. G. ORLANDI, S. Alfonso Maria de Liguori e l’ambiente missionario na­poletano nel Settecento: la compagnia di Gesù, in «Spicilegium Historicum Congre­gationis SS.mi Redemptoris» 38 (1990) 5-195.
  12. Ivi, 31. Si veda anche il curioso episodio della “caduta” di un angelo che ha avuto come conseguenza la riduzione ulteriore del personale missionario: G. ORLANDI, La caduta di un “angelo” M.A. Capelli; P Segneri e L.A. Muratori, in Per formare un’istoria intiera. Testimoni oculari, cronisti locali, custodi di memorie priva­te nel progetto muratoriano. Atti della I giornata di studi muratoriani (Vignola 23 marzo 1991), Firenze 1992,147-172.
  13. Ivi, 19.
  14. Cfr. R. HOSTIE, Vie et mort des ordres religieux. Approches psychosociologi­ques, Paris 1972.
  15. Cfr. R. TURTAS, Missioni popolari, 369-412
  16. Cfr. ivi, 386.
  17. Ivi, 390.
  18. Ivi, 388.
  19. Cfr. ivi, 389.
  20. Cfr. ivi, 390 s.
  21. Ivi, 394.

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