Giorno vigesimonono. Del sito disinteresse e del suo disfanno dai beni della terra.
Un uomo particolare che aveva dato un fondo di quattromila lire per le missioni. cadde nel bisogno; come Vincenzo ne fu informato, gli scrisse di prenderne la rendita, aggiungendo che se quello non bastava, gli avrebbe novellamente ceduto il capitale; e per indurlo a dichiarare il suo pensiero con maggiore libertà, gli fece sapere non essere questa la prima volta che operava in tal modo. Alcuni anni dopo avendo temuto che uno dei benefattori della sua congregazione, che si diceva molto a male ne’suoi affari, si rimproverasse la sua propria liberalità. «Vi supplico, gli disse Vincenzo, di far uso degli averi della nostra campagna come se fossero vostri. Siamo pronti a vendere per voi tutto ciò che abbiamo, e fino i nostri calici: non faremo con ciò se non quello che ordinano i santi canoni, cioè di rendere al nostro fondatore nel suo bisogno quello ch’egli ci ha dato nella sua abbondanza, e ciò che vi dico, signore, lo dico innanzi a Dio, e conce lo sento nel fondo del cuore.»
Un gran numero di signore di primo ordine avendo offerto al santo Sacerdote la somma di seicentomila lire per fabbricare una nuova chiesa, non volle accettarla, ed allegò per ragione che i poveri ne soffrirebbero, e che i primi tempi, che dimanda Gesù Cristo, sono quelli della carità e della misericordia.
Gli fu mossa una lite, e tutti dicevano essere ingiusta; nulladimeno Vincenzo la perdette. Alla prima notizia ch’egli n’ebbe, scrisse ad un suo amico: «I buoni amici si partecipano il bene ed il male che loro accade; e siccome voi siete uno de’ migliori che noi abbiamo, non posso a meno di comunicarvi la perdita fatta della lite e del podere, non già come un male che ci sia avvenuto, ma come una grazia fattaci da Dio affinchè voi vi compiacciate aiutarci a ringraziarvelo. Io appello grazia di Dio le afflizioni ch’egli c’invia, soprattutto quelle che sono bene ricevute; ora la sua bontà infinita avendoci disposti a questa privazione innanzi ch’ella fosse ordinata, ci ha fatto consentire a quest’ accidente con una intera rassegnazione, ed oso dire con tanta gioia come se ci fosse stata favorevole. Sembrerebbe questo un paradosso a chi non fosse tanto avanti, come voi lo siete, nelle cose del cielo, ed a chi non sapesse che la conformità al piacere di Dio nelle avversità è un bene maggiore di tutti i vantaggi temporali.» Lettera al signor Desbardas membro della camera de’ conti.
Sparsa la novella della sentenza, un gran numero de’più insigni avvocati impegnarono il sant’Uomo ad interporre l’appello; uno fra gli altri l’assicurò ch’esso era infallibile, e si offerse non solamente a patrocinare senza retribuzione, ma ancora ad indennizzare la casa di s. Lazzaro se avesse per la seconda volta la disgrazia di soccombere. Malgrado queste sicurezze Vincenzo non volle appellarsi: «Quantunque siamo assicurati, scriveva al succitato amico, di essere ben fondati a col provvederci in appello, noi non posa siamo risolverci ad interporlo; perchò otto a avvocati che abbiamo consultati congiuntamente e separatamente prima della sentenza che ci ha spossessati, ci avevano sempre assicurati che il nostro diritto era infallibile; ciò non ostante la corte ha giudicato diversamente: tanto è vero che le opinioni sono vario, e che non bisogna mai a appoggiarsi sui giudizi degli uomini. 2. Una delle nostre pratiche nelle missioni essendo di comporre le differenze del popolo, vi a sarebbe a temere che se la compagnia si ostinasse in una nuova contestazione coti a questo appello, che è il rifugio de’più gran litiganti, Dio non ci togliesse la grazia di lavorare per gli accomodamenti. 3. Noi daremmo un grande scandalo, dopo un giudizio sì solenne, litigando per distruggerlo; saremmo biasimati per troppo attacco ai beni, rimprovero solito a farsi agli ecclesiastici, e facendoci nominare ne’ magistrati. noi faremmo torto alle comunità, e saremmo causa a’nostri amici di scandalizzarsi di noi. 4. Noi abbiam motivo di sperare, che se il mondo ci toglie qualche cosa da una parte, Dio ce ne accorderà dall’ altra. Lo abbiamo provato dacchè la corte ci ha tolto il possesso di quella terra, perchè Dio ha permesso che un consigliere della medesima camera ove siamo stati giudicati, ci lasciasse, morendo, quasi altrettanto. Finalmente per dirvi ogni cosa, ho gran pena d’andare contro il consiglio di nostro Signore, il quale non vuole che, chi prende a seguirlo, si metta a litigare, e se l’abbiamo fatto è solo perchè non poteva in coscienza abbandonare un bene di comunità, di cui non aveva che l’amministrazione, senza fare il possibile per conservarlo: ma ora che Dio mi ha scaricato di questa obbligazione con una sentenza sovrana che ha reso inutili le mie cure, penso dobbiamo qui fermarci.»
Sebbene gli occhi de’più illuminati del suo secolo l’abbiano trovato grande in ogni cosa, non l’hanno forse giammai trovato più grande di quando lo hanno osservato nel suo distacco assoluto da’ beni della terra. «In qualità di segretario di stato, dice un celebre personaggio, fui in grado di avere una stretta relazione col signor Vincenzo. Egli ha fatto più opere buono in Francia a riguardo della religione e della Chiesa, a che qualunque altro a mia cognizione; ma ho particolarmente osservato che al consiglio di coscienza, ov’era egli l’agente principale, non mai si parlò de’suoi interessi, nè di quelli della sua congregazione, e nemmeno di quelli delle cose ecclesiastiche che aveva stabilite. Impiegava il suo credito in favore di tutti coloro che ne credeva degni; e quanto a lui si era tolto dal catalogo di chi poteva sperar qualche grazia. I suoi parenti più prossimi nulla ebbero da lui. Sovente fu sollecitato a favorire i suoi nipoti; rispose sempre ch’egli amava meglio vederli vangar la terra, che vederti a beneficiari.» Il che ha fatto dire che secondo le idee del mondo, nell’ essere ci’ che era stato alla corte, aveva perduto più di quello avesse guadagnato. Se avesse dimandato per se la casa di s. Giuliano, certamente l’avrebbe ottenuta, ma non pensò che a farla avere a coloro a’ quali oggi appartiene. Un anno di preghiere e d’istanze non potè determinare Vincenzo a prendere la casa di s. Lazzaro, ed allorchè gli fu contrastata voleva abbandonarla; e l’avrebbe di fatto lasciata se non gli fosse stato provato che non poteva ciò fare in coscienza, ed ora sì indifferente per il favorevole o contrarie successo di quel grande affare che i suoi giudici maravigliati non poterono trattenersi dal dire che bisognava che il signor Vincenzo fosse un uomo dell’ altro mondo.
Un ecclesiastico gli recò cinquecento scudi; ma Vincenzo benchè ridotto ad un estremo bisogno, li rifiutò’, dicendogli che duemila poveri ch’erano ammalati ne avevano anche maggior bisogno di lui. ti procuratore regio in, una delle più grandi città del regno gli diede, avanti d’ entrare nella sua congregazione, una possessione di cui era padrone; ma Vincenzo la restituì a’suoi parenti perchè questa donazione non era stata da loro gradita.
Il distacco del santo Sacerdote si estendeva fino alla sua congregazione, e voglio dire che non avrebbe voluto tare, nè soffrire che i suoi facessero un sol passo per procurargli i migliori soggetti od i più bei stabilimenti; la massima di lasciar fare tutto a Dio, d’abbandonarsi a lui senza riserva alcuna, di seguire e non già di prevenire la sua provvidenza, si ripeto si spesso nelle sue lettere, che si vede non averla mai perduta di vista.
Seguitò egli lo stesso metodo per le figlie della carità. Non solamente non avrebbe voluto ch’esigessero degli stabilimenti, ma voleva di più che fossero disposte a sacrificare quegli stessi che avevano. Le ritirò da un luogo dove erano state chiamate, perché non vi avrebbero potuto restare senza cagionare delle contestazioni.
Frutto. Pensiamo a diminuire qualche spesa domestica per darla a’poveri, specialmente in questi tempi in cui si rende tanto grave il bisogno di soccorrere persone bisognose di ogni età e di ogni condizione.