Giorno quarto. Amore del Santo per Dio.
Per bene apprezzare qual sia stato l’ amore di s. Vincenzo verso Dio, sarebbe mestieri conoscere tutta l’influenza dello Spirito Salito sul cuore di lui, e la fedele sua cooperazione a’ lumi che ne riceveva. Questa manifestazione cui Dio ha dato principio sulla terra, proponendo le sue virtù al culto de’ cattolici, non sarà perfetta tino al giorno finale in cui rivelerà il segreto de’ cuori. Nulladimeno trovasi in questo mondo, giusta l’espressione dell’apostolo s. Giovanni, un indizio infallibile il quale ci fa discernere se si ama Dio, e questo indizio è la costante osservanza della santa sua legge. Vincenzo fu esalto nell’ adempiere a tutti i doveri che essa impone. Perfettamente unito al suo Dio, come tutto il suo esteriore indicavalo, ei regolava tutte le sue azioni a seconda de’ comandi di quella legge eterna dalla quale emana ogni giustizia. La vita di lui era un continuo sacrifizio che faceva a Dio degli onori, dei piaceri del mondo e delle sue affezioni. Il suo cuore non provava mai una gioia tanto sensibile come allorquando lo rivolgeva verso la gloria ineffabile che Dio possiede in se stesso. Il più vivo de’suoi desideri era, che Dio fosse più conosciuto, servito, adorato in ogni luogo, da ogni creatura. Quanto faceva, diceva, non avere altro scopo, tranne quello d’inspirare in tutti questo Divino amore. Da ciò traevano origine quelle tenere aspirazioni nelle quali prorompeva tratto tratto: «Oh Salvatore! oh mio Signore! oh bontà Divina! oh mio Dio! e quando è che ci farete la grazia di essere tutti vostri, di non amare che Voi solo?» Da ciò la cura che aveva di purificare la sua intenzione, e di rammentarsi appartenere al Creatore le più piccole al pari delle più grandi azioni.
Per piacere a Dio nelle cose più grandi facevasi uno studio di piacergli nelle minime eziandio. Era egli a questo riguardo di una vigilanza tale che a detto di coloro i quali l’osservarono più da vicino, per mancarvi meno di lui bisognava non esser uomini. Da ciò nasceva l’energia di sue parole, che penetravano sino al fondo del cuore di chi l’ ascoltava. Talché una signora avendolo inteso ragionare, maravigliata disse alla regina di Polonia: «Eh bene, signora, noti possiam noi forse » dire al pari de’ discepoli di Emmaus, che i nostri cuori provavano le fiamme dell’amor d’ Iddio, mentre il signor Vìncenzo ci parlava? ve lo confesso, ho il cuore » imbalsamato da quanto il sani’ uomo ci ha testè dello. Non vi è da stupire, rispose la regina, poichè è l’ angelo del Signore che apporta sulle sue labbra gli accesi carboni dell’amor divino, il quale arde nel suo cuore.»
Nella grande moltitudine di sacri ministri, che settimanalmente concorrevano alla sua conferenza, diversi hanno attestato che vi andavano principalmente per avere la sorte d’ascoltarlo, e che ne partivano afflitti quando per modestia non aveva parlato. Eravi nelle parole di lui non so quale unzione di Spirito Santo, che commoveva il cuore di tutti gli ascoltanti. Alcuni fra di essi dicevano a’ missionari: «Oh quanto siete voi felici di vedere e di sentire tutti i giorni un uomo sì ripieno d’amor d’Iddio.»
E in fatti quel sani uomo faceva trascorrere le fiamme della sua carità persino nell’anima di coloro i quali conversavano con lui. «Non vi era, dice l’ Arcivescovo di Vienna nella sua lettera a Clemente IX (10 gennaio 1676), nè discorso, nè letura di divozione, che producesse tanta impressione, quanta ei ne faceva su coloro che avevano la sorte d’intrattenersi con lui.» I fanciulli stessi che facilmente s’annoiano de’ seri ragionamenti, avevano piacere d’ascoltarlo. «Io era assai giovane, diceva Monsignore di Brienne nella sua lettera al Sommo Pontefice (13 novembre 1703), quando cominciai a conoscere quel vecchio venerando, il quale aveva molta benevolenza per la mia famiglia, e ciò nulladimeno aveva fin d’allora al pari degli altri un’idea tanto grande di sua santità, che una lunga serie d’anni non bastò a farmi dimenticare i suoi discorsi. »
Un peccatore ostinato nel vizio fu diretto ad un missionario, affinchè gl’inspirasse migliori sentimenti. Non potè venirne a capo, giacchè in quell’uomo l’ abitudine del male erasi convertita in natura. Quel sacerdote lo presentò p Vincenzo, in quella guisa a un dipresso che si presentava al Salvatore l’ossesso che i suoi discepoli non avevan potuto guarire. Il servo di Dio parla a quell’ inveterato infermo di spirito, lo incalza, lo scuote, lo confonde, ed ha la consolazione di veder cadere dagli occhi una parte di quella benda ond’era accecato. Tantosto cominciansi a scoprire in lui le primizie di un uomo nuovo. il figlio dell’iniquità geme sulle sue catene, dimanda un ritiro ove possa liberarsene, lo fa con fervore, e sostiene costantemente le sue prime promesse Ringrazia il suo liberatore e pubblica essere Vincenzo colui che gli aveva cangiato il cuore.
Non contentavasi il Santo di avere un semplice amore di affetto verso Dio, e di concepire alti sentimenti della sua bontà e gran desideri della sua gloria, ma rendeva questo amore di effetto, e come lo vuole S. Gregorio, ne dava colle operazioni delle prove: Probatio dilectionis exhibitio est operis. Ed è perciò che il santo sacerdote esortava i suoi confratelli ad amar Dio coll’impiego delle loro braccia e col sudore della loro fronte..«Poichè sovente, soggiungeva, tanti atti d’amore d’Iddio e n tanti altri, affetti di un cuore tenero, comunque buonissimi e desiderabili, rendonsi tuttavia sospetti se non sono congiunti alla pratica dell’amore di effetto. Si glorifica il mio Padre celeste, dice il Salvatore, allorquando si raccoglie molto frutto, e su di ciò appunto dobbiamo » stare molto in guardia, posciachè vi sono molti i quali avendo l’ esteriore ben composto ed il cuore ripieno di buoni sentimenti non vanno più oltre, e troa vandosi nell’occasione di agire rimangonsi inerti. S’ingannano colla riscaldata loro immaginazione, si contentano de’ dolci colloqui che hanno con Dio nell’orazione, ne parlano persino come se fossero angeli; ma trattasi forse di lavorare per amor di Dio, di mortificarsi, d’ istrurre i poveri, di andar in traccia della pecorella smarrita, di sopportare pazientemente le malattie o qualch’ altra disgrazia? oimè, il coraggio manca e tutti si ritirano! No, no, non c’inganniamo: Totum opus nostrum in operatione consistit. Appresi io questo da, un gran servo di Dio: trovandosi quell’ uomo al letto di morte, mi disse scorgere chiaramente in quell’estremo, che spesse fiate ciò che da taluni riguardavasi come contemplazioni, rapimenti di spirito, estasi, movimenti anagogici come si appellano, unioni deifiche, non erano altro che fumo, e che tutto ciò derivava o da una curiosità ingannatrice, o dagl’impulsi naturali di uno spirito, il quale aveva qualche tendenza al bene; quando in vece una buona azione è il verace contrassegno dell’ amore di Dio. Totum opus nostrum in operatione consistit. Insegna l’Apostolo essere le sole buone azioni che ci accompagnano nell’altra tra vita. Riflettiamo pertanto su di ciò, tanto più che a’nostri giorni vi sono molti i quali sembrano virtuosi, e lo sono in fatti, nulladimeno sono inclinati ad una vita dolce e molle, anzichè ad una divozione solida e laboriosa. Paragonasi la Chiesa ad una gran messe la quale abbisogna di operai che lavorino. Non c’è cosa tanto conforme col Vangelo quanto il radunare de’ fumi e delle forze mediante l’orazione, la lettura e la solitudine, e quindi far parte agli uomini di questo pascolo spirituale. È un imitare ciò che si fece dal nostro Signore, e dopo lui dagli Apostoli; è un congiungere l’ufficio di Marta a quello di Maria; è un seguire l’esempio della colomba, la quale digerisce la metà dei cibo che ha inghiottito, e indi col proprio becco fa passare il rimanente in quello de’suoi pulcini per nutrirli. Ecco in qual modo colle opere dobbiam testificare a Dio che lo amiamo: Totum opus nostrum in operatione consistit. »
In conseguenza il sant’ Uomo raffigurava sempre nostro Signor Gesù Cristo negli altri, onde eccitare con maggiore efficacia il suo cuore a prestar loro tutti i doveri della carità. Considerava il divin Salvatore qual Capo della Chiesa nel Supremo Pontefice, qual Pontefice ne’ Vescovi, qual Principe de’ pastori ne’ Sacerdoti, qual Sovrano nei Re, qual nobile ne’ gentiluomini, qual giudice ne’ magistrati ed altri ufficiali. Essendo nel Vangelo paragonato il regno de’cieli ad un negoziante, egli considerava Dio come tale ne’ commercianti, operaio negli artigiani, povero ne’ mendichi, infermo negli ammalati, agonizzante ne’ moribondi. Vedendo per tal modo Gesù Cristo in ogni stato, e ravvisando in ogni stato una immagine del Redentore, che il suo prossimo gli rappresentava, animavasi così ad amaro e servire le creature nel nostro Signore, ed il nostro Signore in tutti. Esortava tutti coloro, cui parlava, a seguire queste massime, onde rendere più perfetta la loro carità verso Dio e verso gli uomini.
Finalmente aveva per principio di far tutto per amore d’Iddio e nulla per umani rispetti. Essendo tale amore incompatibile cogli umani rispetti, soffrir non poteva che si agisse a fine di piacere agli uomini. Uno de’suoi missionari il quale non aveva stabile soggiorno in Roma credè a proposito, ad oggetto d’ interessare vie più a suo prò i Cardinali, di cominciare ne’ loro domini le missioni, di cui il Santo Padre avevagli lasciata libera la scelta. Vincenzo, cui ne scrisse, gli rispose, un tale divisamento essere umano e contrario alla cristiana semplicità. «Oh Dio! ci preservi il Signore dall’operare alcuna cosa per fini cotanto hassi. La sua divina Bontà richiede che non facciamo giammai del bene in nessun luogo per farci stimare, ma che abbiamo Lui solo direttamente di mira in tutte le nostre azioni, e che nulla da noi si operi per umano riguardo……….. Assicuratevi, che le massime dei Figlio d’Iddio e gli esempli della sua vita privata non sono sterili, essi producono a suo tempo il loro frutto, e chi opera in contrario, tutto riesce in male.»
L’abborrimento che il servo di Dio aveva per le mire mondane lo fece prorompere un giorno in uno di que’moti subitanei, quali lasciano trasparire le abituali disposizioni del cuore. Uno de’ suoi erasi accusato in presenza degli altri di aver fatto qualche azione per riguardi umani. Vincenzo afflitto in sentire un missionario aver altre mire fuori che Dio, «sarebbe meglio, disse, essere gettato sovra acceso rogo coi piedi e colle mani legate, che il fare un’azione col fine di piacere agli uomini.» Compiangeva la follia di coloro i quali, avendo solamente intenzioni terrene, perdono quel tempo e quelle fatiche che riuscirebbero cotanto salutifere se elevati si fossero fino a Dio.
«L’intenzione, dicevasi da lui, è l’anima delle nostre opere; essa ne aumenta sommamente il pregio ed il valore; poichè siccome geli abiti d’ ordinario non si stimano tanto per la stoffa di cui si formano, quanto per li ricami de’quali vanno adorni, così non bisogna già contentarsi di fare delle buone operazioni, ma è necessario illustrarle col merito di una santa intenzione, facendole unicamente per piacere a Dio. »
Da questi principi purificati nasceva in lui un vivissimo desiderio di procurare la, gloria d’Iddio e di condurre tutti a partecipare di questi stessi sentimenti. voleva che un vero discepolo di Gesù Cristo rendesse conto a se stesso de’motivi i quali lo spingevano ad agire, e interrogandosi prima di cominciare ognuna delle sue azioni, dicesse a se medesimo: Per qual motivo intraprendi tu questa anzi che la tale altra cosa? È forse per soddisfarti, o per piacere ad una debole creatura? Non è forse nell’unica mira di adempiere la volontà di Dio e di seguire l’ impulso del suo spirito? « Quale vita condurremmo noi, diceva a’suoi, se ci fosse dato di contrarre la beata facilità di voler tutto in Dio e tutto per Dio! La nostra vita avrebbe una relazione mag giore con quella degli angeli, che con quella degli uomini; sarebbe in certo qual modo tutta Divina, poichè tutte le nostre azioni si farebbero co’ movimenti dello Spirito Santo e della sua grazia. »
Tutta la vita del Santo è una prova ch’egli agì costantemente in questo senso, e questa prova verrà confermata dalle grandi cose che andremo esponendo.
Frutto. Una limosina per amore d’Iddio.