Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo spirito di San Vincenzo De’ Paoli. Giorno ottavo

Francisco Javier Fernández ChentoVincenzo de' PaoliLeave a Comment

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Author: Don Bosco · Year of first publication: 1848.
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Giorno ottavo. Della sua dolcezza.

Questa virtù sì propria a cattivare i cuori forse più d’ogni altra costò a S. Vincenzo. Nato bilioso e con uno spirito vivace era naturalmente inclinato alla collera. Si affaticò da principio a reprimere i movimenti destatisi nell’animo suo, ma la violenza che si faceva internamente traspariva al di fuori da un’aria scortese e malinconica. Fece su di se uno studio ben serio; vide quale cosa gli mancava ed ebbe ricorso al Signore, il quale solo può disporre di noi come a lui piace e solo colla sua grazia riforma la natura. Si animò sull’esempio di san Francesco di Sales, la cui estrema dolcezza lo colpì al bel primo trattenimento avuto con lui; finalmente a forza di vigilanza divenne sì dolce e sì affabile, che sarebbe stato in questo genere il primo uomo del suo secolo, se il suo secolo non avesse avuto il santo Vescovo di Ginevra. «Vedendo il signor Vincenzo, diceva Monsignor di Fénélon, si crederebbe » vedere s. Paolo scongiurare i Corinti colla dolcezza e colla modestia di Gesù Cristo.»

Costa ben poco il praticare la dolcezza riguardo a coloro i quali l’esercitano con noi: i pagani lo fanno egualmente; ma praticarla con coloro che ci offendono, ci contraddicono e nulla ascoltano, si è l’effetto di una virtù eroica, virtù degna di un S. Vincenzo de’ Paoli. Ebbe a trattare e sovente nello stesso giorno con persone educate e con altre rozze ed ignoranti, con persone di spirito e con uomini grossolani, con gente scrupolosa e con orgogliosi filosofi; in una parola con quanti possono immaginarsi dal trono dei Re fino alla capanna de’ pastori, con tutti esercitava quel maraviglioso tratto di civiltà evangelica di farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a G. C., richiamando ovunque si trovava l’ idea dei Salvatore quando conversava cogli uomini.

Giammai si vide un’alterazione sul suo volto, un’ asprezza nelle sue parole, un segno di noia nel suo esteriore; fu veduto interrompere il suo colloquio con persone di qualità per ripetere fino a cinque fiate la stessa cosa a chi non la comprendeva, e dirgliela l’ultima volta con tanta tranquillità come la prima; senz’ombra d’impazienza fu veduto ascoltare povere persone che mal parlavano ed a lungo, dare alle loro parole il poco buon senso di cui erano capaci; fu veduto lasciarsi interrompere trenta volte in un giorno da scrupolosi che sempre ripetevano la stessa cosa in termini differenti, ascoltarli fino alla fine con una pazienza inalterabile; scriver loro qualche volta di propria mano quanto aveva loro detto, e spiegarglielo più a lungo qualora non lo intendevano bene; finalmente interrompere il suo uffizio o il suo sonno per non mancare all’occasione di fare un sacrifizio, quale costa talvolta assai ad un uomo occupato in tanta diversità di cose. Particolarmente cogli eretici la dolcezza gli sembrava più necessaria. Diceva che nelle contestazioni vive, colui contro del quale si disputa, e che da principio è persuaso di ciò che dice, si voglia prendere il dissopra e prevalere su di lui; allora si prepara non già a riconoscere la verità, ma a combatterla; questa disputa in vece di entrare nel suo spirito chiude ordinariamente la porta del suo cuore, mentr la dolcezza e l’affabilità l’avrebbero aperta; che l’esempio di s. Francesco di Sales era una prova palpabile di questa verità, poichè quel. prelato, sebbene abilissimo nella controversia, aveva ricondotti più eretici colla stia dolcezza che per mezzo della scienza; e a questo proposito il Cardinale di Perron era solito dire, che quanto a lui si sentiva bensì di convincere i novatori, ma soltanto Monsignor eli Ginevra sapeva convertirli. «Finalmente, soggiungeva, non ho mai veduto nè inteso alcun eretico siasi convertito ‘colla forza della disputa, o per la sottigliezza degli argomenti, ma sì bene colla dolcezza; tale è la forza di questa virtù per guadagnare gli uomini a Dio.»

Il servo di Dio era altresì persuaso potersi soltanto colla dolcezza ricavar del frutto dalle missioni di campagna. «Rendetevi affabili all’assemblea de’ poveri, questo è il consiglio della Scrittura: Congregatione pauperum affabilem te facito. Tale deve essere la nostra regola, diceva ai» suoi; senza questo la povera gente si allontanerà, e non oseranno avvicinarsi a noi; ci riguarderanno come persone o troppo severe o troppo gran signori per loro; così l’opera di Dio caderà, e noi non potremo soddisfare a’ disegni ch’egli ha sopra di noi. Se Dio ha accordato qualche benedizione alle nostre prime missioni, si è osservato esser questo avvenuto per avere operato amichevolmente verso ogni classe di persone, e se è piaciuto a Dio di servirsi del più miserabile degli uomini per la conversione di qualche eretico, hanno confessato eglino stessi esser questo per la dolcezza e la cordialità avuta verso di loro. I forzati, coi quali ho coabitato, non si guadagnano in ala tra maniera; ed allorchè m’è accaduto di parlare loro aspramente, ho guastato tutto; al contrario, allorchè gli ho lodati della loro rassegnazione, ed ho compatito ai loro patimenti, quando ho eletto che erano felici di fare il loro purgatorio in questo mondo, quando ho baciato le loro catene, si è allora che mi hanno ascoltato, hanno glorificato Dio, e si sono posti in istato di salvezza. Vi prego d’aiutarmi a ringraziare Dio e a dimandargli che si compiaccia di mettere tutti i missionari in quest’ uso di trattare dolcemente il prossimo in pubblico ed in privato, ed anche i peccatori ostinati, senza usare in alcun tempo rimproveri ed invettive o parole aspre contro di chicchessia.»

Il Santo fondava la sua dolcezza sopra. due principi; l’ uno era la parola e l’esempio del Salvatore, e l’altro la conoscenza dell’umana debolezza. In quanto al primo principio, diceva la dolcezza e l’ umiltà essere due sorelle, che si uniscono molto bene insieme; Gesù Cristo averci insegnato ad unirle quando ha detto: Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore; e queste parole sono state sostenute da’suoi esempi; perciò il Salvatore ha voluto avere de’ discepoli grossolani e soggetti a vari difetti per insegnare a coloro che sono in dignità la maniera con cui devono trattare quelli di cui hanno la direzione; nè ‘potersi vedere la dolcezza eli’ egli ha praticato nel corso della sua passione senza essere portati a quella virtù; come quando ha dato il nome di amico al perverso Giuda traditore, e soffrì senz’ alcun lamento le crudeltà di una sbirraglia che lo sputacchiava nel viso, ed insultava a’suoi dolori. «Oh Gesù, mio Dio, esclamava, qual esempio per noi che abbiamo preso ad imitarvi! Che lezione per coloro i quali nulla vogliono soffrire o che s’inquietano e si inaspriscono allorchè soffrono!»

Quanto al secondo principio Vincenzo diceva che è proprio all’uomo di fallire, come è proprio dei rovi di aver delle spine pungenti; che il giusto stesso cade sette volte, cioè molte volte; che lo spirito al pari del corpo ha le sue malattie; che essendo sovente un uomo da se stesso un grande esercizio di pazienza, non è cosa strana eh’ egli eserciti quella degli altri; e che, come l’ ha osservato s. Gregorio il Grande, la vera giustizia conosce la compassione, e non conosce collera, nè trasporti; quindi egli conchiudeva, che fa bisogno di dolcezza nel commercio della vita; le parole che ci feriscono sono sovente piuttosto impeti della natura che indisposizioni del cuore; i più saggi non sono esenti dalle passioni; e queste passioni strappano loro qualche volta certe espressioni delle quali si pentono un momento dopo; in qualunque luogo uno sia, devesi sempre soffrire, ma che potendosi nello stesso tempo meritare, è molto utile il fare provigione di dolcezza, poichè senza questa virtù si soffre senza merito ed anche con pericolo della salvezza.

«La dolcezza, aggiungeva il Santo, ha tre principali atti. Il primo di questi alti reprime i movimenti della collera e gli impeti di quel fuoco che turba l’anima, sale al volto e ne cangia il colore. Un uomo dolce non lascia nè di sentire una prima emozione, perchè i movimenti della natura prevengono que’ della grazia; ma sta fermo affinché la passione non trionfi, e se comparisce in lui, suo malgrado, qualche alterazione nel suo esteriore, si rimette ben presto e rientra nello stato naturale; allorchè è costretto di riprendere, di gastigare, segue la via del dovere, e non mai quella dell’ impeto: in ciò imita il Figlio d’ Iddio che chiamò S. Pietro Satanno; che nella stessa occasione trattò dieci o dodici volte i giudei d’ipocriti; che rovesciò le tavole de’ negoziatori; che tutto ciò fece con una per fetta tranquillità, mentre un uomo senza dolcezza avrebbe fatto per collera. Un superiore operando così farebbe un gran frutto, le sue correzioni sarebbero ben accolto, perchè fatte per ragione e non per mal umore. Coloro i quali devono regolare non possono bastante mente far attenzione a’ riguardi che il salvatore ha avuto per i suoi. Niuno vuol essere corretto con rigore, ed ognuno dice presso a poco come il Re Profeta gastigatemi, ma ciò non sia nel vostro furore.

Il secondo atto della dolcezza consiste » in una grande affabilità, in quella serenità di volto che rassicura chiunque si avvicina. Certe persone con aria ridente ed amabile contentano tutti, e dal primo istante sembrano offerirvi il loro cuore e chiedere il vostro; altre all’opposto si presentano sentano con un aspetto riservato, il cui viso arido, accigliato spaventa e sconcerta. I missionari che per vocazione sono obbligati a trattare colla povera gente di campagna, cogli ordinandi ed esercitandi, devono procurare di formarsi queste maniere insinuanti le quali cattivano i cuori. Senza questo non faranno mai frutto, e saranno come una terra secca altro non producendo se non cardi selvatici.

Finalmente il terzo atto della dolcezza consiste nello sbandire dal proprio spirito le riflessioni che seguono pur troppo le pene che ci vennero cagionate, o i cattivi servigi che ci furono resi. Bisogna allora assuefarsi a distogliere il proprio pensiero dall’offesa, a scusare quello da cui proviene, a dire a se stesso ch’egli ha operato con precipitazione, e che un primo movimento l’ ha trasportato; soprattutto non bisogna aprir bocca per rispondere a coloro stessi che altro non cercano se non d’inasprirci. Devesi egualmente trattare con dolcezza coloro che hanno meno riguardi per noi, e se giungessero ad oltraggiarci sino a darci uno schiaffo, bisogna offerire a Dio e soffrire per amor suo questo ingiurioso trattamento; devonsi ancora trattenere gl’ impeti della collera e preferire ad ogni altro linguaggio quello della dolcezza, perchè una parola di dolcezza può convertire un ostinato, quando all’opposto una parola aspra è capace di desolare un’anima. » lo non mi sono servito in vita mia che tre sole volte di parole ruvide per riprendere gli altri; e quantunque avessi creduto da principio di aver qualque ragione d’usare in tal modo, me ne sono sempre pentito in appresso, perché ciò mi è riuscito molto male, quando all’opposto ho sempre ottenuto colla dolcezza ciò che desiderava.»

La dolcezza, la quale alletta ovunque, aveva presso il sant’uomo un non so che di schietto, di spiritoso e di saggio ch’era difficile il resistervi. Un dì essendo con diverse persone qualificate, una di queste disse fra le altre imprecazioni bramare che il diavolo via se lo portasse: a queste parole Vincenzo abbracciandola gentilmente gli disse sorridendo: «ed io, Signore, io vi lascio per Dio, perchè sarebbe un gran danno che il demonio vi possedesse.»

Queste poche parole edificarono la compagnia, e commossero tanto colui a cui si dirigevano, che promise d’astenersi da simile foggia di parlare.

La dolcezza del santo Sacerdote non indeboliva punto lo spirito di fermezza e di vigore, di cui un uomo pari a lui non poteva essere sprovvisto. «Niuno, diceva, è più costante nel bene di coloro che fanno professione di dolcezza; queglino al contrario che si lasciano trasportare dalla collera e dalle loro passioni, sono d’ordinario molto incostanti. I primi sono simili a quei fiumi che scorrono senza fracasso, ma abbondano sempre, nè inaridiscon mai; i secondi somigliano ai torrenti: come questi da principio fanno un fracasso terribile, ma la loro forza passa col loro straripamento; essi non varino che per ghiribizzo, e perciò vanno molto male. Che hassi dunque a fare per riuscire nelle cose di Dio? Seguire da per tutto l’esempio di Dio medesimo; andare, come fece egli stesso, fortemente al suo scopo, ma andarvi per istrade piene, di soavità e di dolcezza. Attingit a fine usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter

Vincenzo accoppiava la forza alla dolcezza, egli non avvisò altro appoggio che la virtù, nè altra politica che la sua fede; sosteneva la verità fino in mezzo alla corte; nè prometteva mai ciò che la sua coscienza non gli permetteva di mantenere. Resisteva saldo alle più potenti sollicitazioni; la riconoscenza stessa e la tenerezza lo trovavano sempre inesorabile; nè mai gli avvenne in vita sua di dire un sì quando il suo dovere l’obbligava al no. Potremmo produrre in gran numero di testimonianze, ma valga per tutte quella di Monsignor Fénélon Arcivescovo di Cambrai. Egli dice nella sua lettera a Clemente XI: «che il discernimento degli spiriti e la fermezza del coraggio furono doni che brillarono nell’ uomo di Dio in un grado che si durerebbe pena a crederlo; che nel dar consiglio non ebbe riguardo alcuno all’odio, nè al furore de’ grandi, ma unicamente agi’ interessi della Chiesa.»

Alcuni fatti fanno altresì conoscere, Vincenzo de’ Paoli non avere sulla terra altro timore fuori quello di Dio. Leggiamo che egli, superiore a tutte le regole della prudenza umana, andò a trovare un padre, non per felicitarlo sulla nomina di suo figlio all’ Episcopato, ma per scongiurarlo a non permettere elio quel figlio occupasse una dignità di cui non era degno. Leggiamo che ricusò a signore di prima distinzione ed anche a principesse l’ ingresso nel monastero delle figlie di cui era Superiore; che accettava volentieri sopra di se tutto ciò che questi rifiuti hanno d’odioso, perciò esponendosi a tutti i risentimenti. Parecchi tratti consimili provano come Vincenzo dovette, a guisa degli antichi Profeti, essere un muro di bronzo, e averne la fermezza, senza allontanarsi nulladimeno dalle strade della dolcezza.

 Frutto. Imparino i padri e le madri e gli altri superiori a reprimere que’ trasporti di collera che li signoreggiano; piuttosto usino affabilità e dolcezza colle persone loro affidate, soprattutto quando trattasi dar consigli in fatto di religione; e si vedrà che le loro correzioni e i loro avvisi saranno assai più efficaci.

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