Giorno nono. Delle sue divozioni particolari.
Vincenzo aveva un’altissima idea della Maestà infinita di Dio; l’aspetto d’au uomo annichilato ch’egli assumeva negli esercizi di religione, vocaboli pieni di rispetto di cui si serviva quando si trattava di parlare di Dio; l’ ardente zelo col quale si sforzava di comunicare agli altri i sentimenti propri, erano altrettante prove delle disposizioni del suo cuore. Abbenchè andasse a letto molto tardi, s’alzava regolarmente a quattr’ore, e ciò con tanto fervore, che il secondo tocco della campana non lo trovò giammai nella stessa positura, in cui lasciavalo il primo. Cominciava la giornata con offerire a Dio i suoi pensieri, le sue parole, le azioni sue in unione di quelle di Gesù Cristo: faceva in seguito la meditazione; poi recitava egli stesso adatta voce le litanie del santo nome di Gesù. Di là andava o a confessarsi (il che sovente accadeva, poichè come l’ attestò uno de’ suoi Direttori, non poteva nemmeno soffrire l’apparenza del peccato), o a fare la sua preparazione per la santa Messa. Si può dire che in questa grande azione serviva di modello a’ sacerdoti i più esatti. Pronunciava tutte le parole in una maniera sì distinta e sì affettuosa, elio ben faceva scorgere come il suo cuore s’accordava col suo labbro. La sua modestia, il tuono con cui proferiva le parole che rammentano al sacerdote i propri falli e la propria dignità; la serenità del suo volto allorchè si volgeva al popolo per annunziargli la pace e la benedizione del Signore; in una parola tutto ciò che si vedeva in lui quanto all’esteriore, era proprio a far impressione sopra coloro, cito ne sono meno capaci; sembrava di veder un Angelo all’altare. Ad eccezione dei tre primi giorni de’ suoi ritiri annuali, ne’ quali vi è uso nella congregazione d’astenersi dal celebrare, egli diceva la Messa tutti i giorni; e finchè potè stare in piedi giammai la tralasciò neppure in viaggio. Le sue indisposizioni ordinarie non glielo impedivano punto, od ascendeva all’altare colla piccola febbre che abitualmente lo molestava.
Il suo amore per l’Agnello che fu immolato per la redenzione dell’uomo lo induceva qualche volta ad ascoltare ed anche a servire una seconda Messa dopo aver detta la sua. Fu veduto quel venerabile vecchio all’età di più dì settantacinque anni, ed in un tempo in cui molto faticoso gli era il camminare, farsi un onore di coprire in questa occasione le funzioni di accolito. «È ben vergognosa cosa, diceva egli, per un ecclesiastico costituito pel servizio degli altari, che in sua presenza altre persone senza carattere facciano il di lui uffizio.»
La sua divozione non appariva meno negli uffizi solenni; al sentirlo cantare e salmeggiare in coro, sarebbesi preso per un Serafino anzichè per un uomo, tanto ora elevato su di se stesso. Voleva si cantasse posatamente, cogli occhi fissi sul proprio libro, e senza guardare nè a dritta, nè a manca. Sebbene avesse una tenera e singolare divozione per tutti i misteri di nostra santa fede, quei della SS. Trinità e dell’Incarnazione, che sono la sorgente degli altri tutti, furono per lui l’oggetto d’un culto più particolare. Bisognerebbe avere una parte della divozione di quel santo Sacerdote per dare qualche idea di quella eh’ egli aveva pel SS. Sacramento dell’ amore di un Dio che vuole essere co’ suoi, ed esservi fino alla morte. Entrato nel luogo santo che Gesù Cristo onora di sua presenza, egli restava sempre prosteso in ginocchio e in un contegno sì umile che indicava sarebbesi volentieri abbassato fino al centro della terra per attestare maggiormente il suo rispetto. Osservando la sua modestia, ognuno avrebbe potuto dire eh’ egli vedeva Gesù Cristo co’ propri occhi. Evitava di parlare nelle chiese, e se qualcuno voleva dirgli una parola, fosse anche un vescovo od un principe, procurava di condurlo al di fuori e lo faceva con tanta grazia e garbatezza, che niuno poteva offendersene. Quando andava in città, salutava avanti la sua partenza il padrone della casa ( era questa le sua espressione), ed allorchè era di ritorno, lo salutava di nuovo; e queste pratiche le ha lasciate a’ suoi. Un uomo sì
pieno d’amore per l’adorabile Sacramento de’ nostri altari era estremamente sensibile agli oltraggi, che al suo tempo gli vennero fatti dall’eresia e dalla militare licenza. Penitenze, lagrime amare, mortificazioni, doni considerabili fatti a diverse chiese, tutto mise in opera per riparare a quegli attentati sacrileghi; nè abbisognavano sì enormi scandali per affliggere il sant’uomo. Non avrebbe potuto vedere uno de’suoi salutare il SS. Sacramento in modo crucioso e superficiale; rassomigliava coloro che ton facevano che una mezza genuflessione alle marionette, le cui riverenze sono senz’anima e senza spirito. Non è già ch’egli facesse consistere la pietà in questi segni esteriori, ma sibbene per essere persuaso questi segni esteriori trovarsi sempre ove regna la divozione.
Alla tenera divozione che Vincenzo ebbe poi Figlio, aggiungiamo quella eh’ ebbe per la sua santa Madre. Per celebrare degnamente le feste della Regina del cielo digiunava la vigilia con tutti quelli di sua casa. Il giorno della festa officiava solennemente e proponeva a’ suoi figli gli esempli di virtù che presentava il mistero onorato dalla Chiesa. In qualunque parte si trovasse, fosse anche presso d’un principe, all’istante che sentiva suonare l’ Angelus, s’inginocchiava, ad eccezione del tempo pasquale e delle domeniche, per recitarlo con più rispetto. All’esempio di s. Bernardo invocava sempre la Stella del mare in mezzo alle tempeste, da cui la sua vita fu sì sovente agitata. «Ognuno de’ giorni nostri, diceva, è segnato coli’ impronta della protezione di Quella, che si compiace di esser nostra Madre, quando vogliamo essere suoi figli.» Per ben convincersi Vincenzo de’ Paoli essere stato zelante servo di Maria, basta sapere che fece tutto ciò che dipendeva da lui per estendere e perfezionare il culto di lei. Sotto quest’aspetto impegnò i suoi tigli ad onorarla tutti i giorni di loro vita, ad imitarne per quanto potessero le virtù, a farla rispettare da tutti coloro a’ quali avessero occasione di annunciare le suo grandezze, il suo credito presso Dio, e la sua tenerezza per li peccatori. In tutte le missioni o fatte in persona o per mezzo di altri desiderò sempre che s’istruissero i fedeli circa la riconoscenza e l’amore che devono avere per quella sublime Creatura, la quale, quantunque infinitamente inferiore a Dio, non cede che a lui solo; finalmente di tante compagnie, assemblee, ed associazioni di cui fu l’ Istitutore, non ve ne è alcuna, che egli non abbia posta sotto la protezione speciale della santa Vergine.
La sua divozione per la Madre del Figlio di Dio e per gli altri Santi, partivano tutte e due dallo stesso principio, cioè dal desiderio di glorificare Dio nella persona di coloro che egli stesso ha voluto glorificare. Onorava particolarmente gli Apostoli quali ebbero la felicità di vedere e di toccare colle loro mani il Verbo fatto carne, e che sigillarono col loro sangue le parole della vita. Aveva’ ognor in pensiero la presenza del suo Angelo custode, a cui ogni giorno indirizzava qualche preghiera. Questa pratica lascio pure a’suoi figli; ed il mettersi in ginocchio nell’entrare o nell’uscire dalle loro camere ha per secondo fine di far loro onorare l’Angelo che Dio ha incaricato di vegliare alla loro custodia.
La sua affezione per S. Giuseppe era assai simile a quella che ebbe santa Teresa per quel degno Sposo della Madre di Dio. Lo assegnò per Patrono a’suoi seminari interni. Si felicito col Superiore di Genova perchè era ricorso alla mediazione di quel glorioso Patriarca, onde procurarsi degli operai capaci di coltivare la vigna del Signore. E gli augurò che nelle sue spedizioni apostoliche s’insinuasse a’popoli di avere confidenza in quel custode fedele della Madre immacolata di Gesù: son queste sue proprie espressioni. Non dobbiamo omettere qui il servo di Dio essersi fatta una legge di sollevare colle sue preghiere e soprattutto col sacrifizio della Messa le anime del purgatorio. Esortava sovente i suoi a questo dovere di pietà. « Quei cari defunti, diceva, sono i membri vivi di Gesù Cristo; sono animati dalla sua grazia ed assicurati di partecipare un giorno alla sua gloria; a questi titoli siamo obbligati ad amarli, a servirli, ad assisterli a tutta possa.» Vincenzo dimenticava ancor meno i benefattori della sua congregazione; vi si dice in loro suffragio in comune il salmo De profundis tre volte al giorno, cioè ai due esami particolari che precedono la refezione, ed all’esame generale della sera; ed è cosa assai bella il vedere una numerosa comunità non portarsi mai a prendere il suo nutrimento, se non dopo aver pregato per coloro che li hanno beneficati.
Frutto. Chi vuole acquistare il vero spirito di divozione, mostri gran rispetto e grande riverenza per le cose di religione, guardandosi bene dal parlarne per burlarsene o screditarle.